Secondo uno studio condotto dallo psichiatra americano Robert Waldinger dell’Università di Harvard e pubblicato su Harvard Second Generation Study, la chiave per la felicità non risiede nell’avere un marito, una moglie o dei figli, ma nel mantenere invece almeno due persone fidate nella propria vita, a cui ci si può rivolgere in momenti di bisogno. In un mondo sempre più frenetico e interconnesso, queste relazioni personali giocano un ruolo cruciale nel nostro benessere emotivo.
Waldinger ha evidenziato l’importanza di condividere con altre persone sia i momenti di grande stress che le piccole preoccupazioni quotidiane. Questa interazione sociale non solo ci aiuta a superare le difficoltà, ma contribuisce anche a mantenere l’equilibrio emotivo mente-corpo. Al contrario, la solitudine può aumentare i livelli di stress e avere un impatto negativo sulla nostra salute generale, rendendo più ardua la ricerca della felicità.
Anche la psicologa Sonja Lyubomirsky ha contribuito a questo dibattito, sottolineando che il 50% della felicità dipende da fattori genetici, mentre l’altro 50% è influenzato da fattori che possiamo controllare. Questo implica che, nonostante le nostre predisposizioni genetiche, abbiamo il potere di modellare il nostro livello di felicità attraverso le nostre azioni e le relazioni che coltiviamo.
Durante lo studio di Waldinger, i partecipanti sono stati invitati a indicare due persone che chiamerebbero nel cuore della notte in caso di emergenza. È interessante notare che alcuni partecipanti non sono riusciti a fornire due nomi, sottolineando così l’importanza di ampliare la nostra cerchia sociale e coltivare amicizie più profonde nel tempo. Questo contrasta con l’idea comune che le relazioni rimangano solide senza alcuno sforzo da parte nostra.
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