I ricercatori della Statale di Milano hanno individuato una nuova variante che potrebbe avere conseguenze sulla diffusione del virus nell’organismo
Gli studi in corso sul nuovo Coronavirus parlano chiaro: dobbiamo fare i conti con un’ulteriore mutazione del Sars-CoV-2, che gli esperti hanno già soprannominato la variante milanese.
Lo studio ha trovato la giusta visibilità su Emerging Microbes & Infections, a condurlo, i ricercatori dei laboratori di virologia dell’università Statale di Milano, coordinati da Pasquale Ferrante, Serena Delbue e Elena Pariani, in collaborazione con l’Istituto clinico di Città Studi del capoluogo lombardo.
La mutazione in questione è presente nel gene codificante per la proteina accessoria Orf-6. Ora, dunque, che cosa cambia rispetto a quel che già conosciamo del Covid, e come reagisce il nostro corpo alla nuova mutazione?
Covid, la particolarità della variante milanese
Non bastavano la variante brasiliana, quella inglese e la sudafricana: ora fa la sua comparsa anche quella milanese. La variante meneghina del Covid non coinvolge la proteina Spike e quindi non dovrebbe influire sulla infettività del virus.
La notizia meno confortante, invece, è che la significativa alterazione della proteina accessoria Orf-6 può essere un fattore in grado di alterare i meccanismi patogenetici della malattia Covid-19. La scoperta è stata fatta dai virologi della Statale di Milano, dopo aver analizzato i campioni virali raccolti da due medici della città lombarda ammalatisi lo scorso marzo.
Come reagisce il corpo alla variante milanese?
Poiché il ruolo di questa proteina nel corso della replicazione virale è quello di modulare la risposta immunitaria dell’ospite, interferendo con la produzione degli interferoni, gli studiosi spiegano che la sua modificazione potrebbe avere conseguenze sulla diffusione del virus nel corpo infettato e sull’evoluzione clinica della malattia.
Perché le varianti fanno paura?
A un anno dalla sua comparsa il Sars-Cov-2 è già arrivato a oltre 4mila modifiche.
Soltanto alcune di queste, tuttavia, sono rilevanti, come le già citate inglese, sudafricana e brasiliana, perché capaci di conferire al virus maggior potere infettivo e, come nel caso di quella milanese, avere un impatto sulla risposta immunitaria dell’ospite, mettendo a rischio l’efficacia dei vaccini fin qui prodotti.