Vorreste sapere quanto tempo vi resta da vivere? Non tutti, probabilmente, sono desiderosi di conoscere la data della propria morte, ma sappiate che scientificamente è possibile stabilirlo.
Come? Attraverso un semplice test del sangue messo a punto dalla Scuola di Medicina dell’Università di Yale. I ricercatori americani hanno, infatti, creato in laboratorio questo rivoluzionario esame che si basa su 9 biomarcatori ed è in grado di prevedere l’aspettativa di vita di una persona.
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Il risultato del test non va preso come una condanna a morte, anzi: lo scopo dell’analisi serve proprio per aiutarci a modificare lo stile di vita o prendere le opportune misure per migliorare lo stato di salute.
Attraverso l’esame, infatti, si può stabilire l’età fisiologica di un soggetto, che è diversa da quella anagrafica, e in base a questo dato, è così possibile intervenire per vivere meglio e più lungo.
Praticamente, se i risultati del test indicano che l’età fisiologica è più alta di quella cronologica, vuol dire che una persona sta invecchiando più velocemente e quindi ha più possibilità di morire in un lasso di tempo più ristretto.
Dalla fase di sperimentazione che ha coinvolto 11 mila soggetti, è emerso, ad esempio, che le donne tendono a invecchiare meno velocemente degli uomini e che tra i fattori di rischio per una morte prematura ci sono il disagio economico e la bassa istruzione, ma anche lo stress cronico, il vizio del fumo, la scarsa attività, l’obesità.
Dal Giappone, invece, arriva un altro rivoluzionario test che effettuato sempre sul sangue, fornisce indicazioni attendibili sull’aspettativa di vita dei malati terminali affetti da patologie oncologiche. Un esame importante che aiuta i medici a definire una prognosi sempre più precisa, permettendo anche interventi terapeutici mirati nei pazienti.
I ricercatori dell’Università di Kyoto si sono basati sulla valutazione di tre valori che vengono eseguiti di routine (albumina, conta dei neutrofili e lattato-deidrogenasi o LDH) e hanno messo a punto sei modelli prognostici adattabili su circa 5 mila pazienti in cura presso l’oncologia dell’ateneo nipponico.
I risultati sono stati davvero strabilianti: il test ha confermato la sua affidabilità riuscendo a prevedere il decesso entro 1-6 mesi dei pazienti sottoposti a chemioterapia. L’esame ha funzionato anche con i malati terminali sottoposti a cure palliative, riuscendo a prevedere la morte del pazienti entro 1-3 mesi.