(Adnkronos) – Dal 2017 sono inseriti nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e quindi i vaccini per l’adulto e anziano sono oggi uno strumento di prevenzione di prima importanza per la tutela della salute pubblica a tutti gli effetti. Ma sul piano culturale c’è ancora molto da fare.  

 

“L’Italia è stata pioniera, avendo proposto alla popolazione adulta e anziana un’offerta più ricca rispetto a molti altri Paesi con il Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2017-2019”, dichiara Andrea Poscia, dirigente medico all’UOC Igiene e Sanità pubblica – Prevenzione e sorveglianza delle Malattie infettive e cronico-degenerative all’ASUR Marche, nella sede operativa di Jesi. “Ha prevalso una visione che oggi è ancora più centrale, quella dell’invecchiamento attivo e in salute, un concetto da tutelare e che proprio la pandemia ne ha evidenziato ancora più l’importanza”.  

 

La ratio del piano nazionale è di prevenire patologie specifiche nella popolazione anziana, cui si uniscono i soggetti fragili, a prescindere dall’età. “Per gli anziani si parla di quattro vaccinazioni fondamentali, di cui quella contro difterite, tetano e pertosse prevede un unico vaccino con richiamo decennale. Il tetano in particolare è patologia ormai tipica dell’anziano non vaccinato, mentre la pertosse è spesso sotto diagnosticata e costituisce un problema non solo per il soggetto, ma anche per i nipotini non protetti – specifica Poscia -. Inoltre, da anni è stata introdotta la vaccinazione antiinfluenzale dai 65 anni in su, anticipata dopo la comparsa del Covid ai 60 anni. Un altro vaccino importante per l’anziano è l’antipneumococco contro la polmonite e richiede due somministrazioni a distanza di un anno, ed è prevista a partire dai 65 anni. Stessa modalità di offerta riguarda il vaccino contro l’herpes zoster: potersi difendere dal Fuoco di Sant’Antonio è importante per evitare la comparsa di manifestazioni invalidanti, a volte con strascichi dolorosi, come la nevralgia posterpetica, per i quali non c’è una terapia soddisfacente”.  

 

L’inserimento dei vaccini nei Lea significa che essi siano esigibili dai cittadini, ma ancora sul piano informativo c’è molto da fare affinché la popolazione ne sia a conoscenza. “La chiamata attiva, che è uno degli strumenti principali messi in atto dalle aziende sanitarie territoriali, non riesce sempre a coinvolgere tutti i cittadini che ne hanno diritto” sottolinea Poscia, che è anche docente a contratto di Igiene all’Università del Sacro Cuore di Milano. “Anche davanti a una lettera inviata dall’Asl non è scontato che il cittadino ne percepisca l’importanza. Per questo, varie società scientifiche, in particolare quelle impegnate nel board Calendario per la Vita, accanto ad associazioni impegnate nel promuovere l’invecchiamento attivo, come Happyageing e Italia Longeva, o Cittadinanza Attiva e alcuni sindacati, fanno iniziative di promozione per gli operatori sanitari e i cittadini. Questi sono sforzi da mettere a sistema, tenendo comunque presente che il primo riferimento del soggetto anziano è il suo medico di medicina generale che, insieme a eventuali specialisti consultati per le patologie croniche, deve spiegare l’importanza della prevenzione vaccinale e indirizzare la persona”.  

 

Per raggiungere al meglio il cittadino, la pandemia ha indotto ad attivare strumenti noti e anche a innovare. Modalità che possono essere utili anche ora, che è tempo di migliorare le coperture ridotte proprio durante l’emergenza Covid. “Contro herpes zoster, influenza, polmonite pneumococcica si possono fare campagne dai grandi numeri, in sedi ampie che garantiscono il distanziamento. Un aspetto centrale della vaccinazione di popolazione è che coinvolge non solo le istituzioni sanitarie, ma anche le amministrazioni locali e il Terzo settore, elementi che promuovono la cultura vaccinale. Ciò vale anche per i più tradizionali camper attrezzati, con cui proporre la somministrazione e l’informazione anti-Covid nelle piazze e i luoghi vicini al quotidiano dei cittadini. Dobbiamo inoltre migliorare il servizio per i pazienti con patologie croniche e invalidanti, che possono avvantaggiarsi del servizio domiciliare od ospedaliero, sia sul piano informativo sia come sede vaccinale”.  

 

Una delle chiavi per incrementare la copertura e gestire al meglio la spesa può essere la co-somministrazione dei vaccini. “Somministrare più di un vaccino in un’unica seduta è da considerarsi una buona pratica, sicura ed efficace, che garantisce al cittadino la più rapida possibilità di proteggersi contro pericolose malattie”, evidenzia Poscia.  

 

Tra le patologie prevenibili, l’herpes zoster non ha un ruolo secondario: in casi gravi può portare affezioni dei nervi cranici con herpes auricolare od oftalmico. Non sono rari i casi in cui la patologia evolve in nevralgia post erpetica, molto dolorosa e difficile da curare, con evidenti deficit nella qualità di vita. Dal 2017 la vaccinazione è offerta gratuitamente per la coorte di popolazione che compie i 65 anni ed è raccomandata dopo i 50 anni se si hanno condizioni di rischio come diabete, patologie cardiovascolari e respiratorie croniche, oppure in vista di terapia immunosoppressiva. “Ora abbiamo a disposizione due vaccini: la nuova formulazione introdotta in Italia ha dati di efficacia ottimi proprio nella popolazione anziana e consente la somministrazione già a partire dai 18 anni in poi, se fragili, ed è utilizzabile in pazienti immunocompromessi – specifica Poscia -. Al momento però ci possono essere delle disparità di accesso per la mancanza di chiarezza circa l’offerta al cittadino. Stanno via via uscendo delle indicazioni di carattere regionale, ma speriamo che il prossimo Piano Nazionale possa uniformarle in tutto il territorio italiano”.