(Adnkronos) – “Manca una cultura condivisa e consolidata sul dolore e la consapevolezza che sia una malattia grave e invalidante, non un sintomo. Questa mancanza è in vari contesti, anche medici, ed è il principale ostacolo a percorsi specifici per diagnosi e terapia adeguata”. Lo ha detto Nicoletta Orthmann, coordinatore medico scientifico della Fondazione Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, intervenendo al webinar “Dolore cronico. Perché non rassegnarsi”, il digital talk della serie “Scelte di Salute” promosso da Sandoz e trasmesso in diretta streaming sui canali web di Adnkronos.
I cinque anni che – secondo un’indagine del 2019 della Fondazione – trascorrono tra i sintomi e la diagnosi, “sono anni segnati da sofferenza fisica, ma anche esistenziale perché il dolore impatta su tutte le sfere della vita: lavorativa, relazionale, affettiva e psico-emotiva. In un quarto dei pazienti – ricorda Orthmann – il dolore si accompagna a sintomi depressivi, mentre i pazienti si sottopongono a pellegrinaggi da uno specialista all’altro con una riduzione della qualità della vita ed economica”.
A proposito del dato di un recente sondaggio condotto da Emg Different da cui emerge che, in caso di dolore cronico, la metà dei pazienti si rivolgerebbe al medico di medicina generale l’esperta non si stupisce: “Per consuetudine il medico di famiglia è il primo filtro sul territorio che dovrebbe avviare a livelli specialistici di approfondimento”. Citando la survey di Onda del 2019, l’esperta della Fondazione ricorda “che le donne vanno dal medico di base dopo circa 2 anni dai primi sintomi. Anche su questo fronte della prima interlocuzione c’è un ritardo importante”.
Il report di Emg rivela, inoltre, che allo specialista del dolore – un medico con specializzazione in anestesia e rianimazione e che poi acquisisce altre competenze, o un neurologo con formazione adeguata – si rivolgono soprattutto donne (22%). Ciò si spiega, secondo Orthmann, perché “moltissime patologie per il dolore cronico sono femminili: le malattie reumatologiche e ginecologiche, come il dolore pelvico e l’endometriosi”.
Sul versante della comunicazione, per il medico di Fondazione Onda sono fondamentali “messaggi condivisi con interlocutori che afferiscono alla problematica: popolazione, associazione pazienti, istituzione comunità scientifica”. Serve un impegno morale, “l’informazione – ha aggiunto – deve trasformarsi in conoscenza e consapevolezza per fare le scelte giuste nei tempi giusti”. Servono quindi materiali informativi e canali social. “Queste attività fanno crescere l’awareness e coprire il vuoto di relazione tra utenza e i centri dedicati alla cura e terapia del dolore, per fare in modo che i pazienti trovino risposta al proprio dolore” conclude.