“Il sistema sanitario si confronta drammaticamente sui numeri e”, di fronte alla denatalità, “occorrerà ridisegnare un sistema” delle nascite che è ancora “tarato sul ‘baby boom’, sugli anni ’50 e ’60, una realtà di famiglie piene di speranza e di figli. Oggi, se va bene, una famiglia di figli ne fa uno”. Invoca il ricorso anche alla “tecnologia e alla creatività” l’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin, analizzando le dinamiche che hanno portato l’Italia ad avere nel 2020 un numero di nati inferiore ai decessi registrati nel Paese e le conseguenze di questo trend che dura da anni.
“Il tema della denatalità sta alla società come il tema dei cambiamenti climatici sta al pianeta – spiega la deputata Pd durante l’evento online ‘Denatalità e crisi dell’ostetricia: il diritto di venire al mondo’, la prima di una serie di iniziative promosse dalla Casa di Cura Santa Famiglia di Roma sul tema – ma questo tema non lo avvertiamo, è come se lo avessimo rimosso perché le cause sono profonde e radicate in questa società e in questa dimensione culturale. O agiamo lì o non ci sono misure di politica attiva che tengano”.
“Oggi siamo attorno al parto e alla salute della puerpera è stato costruito un sistema molto medicalizzato e tecnico” che rende il parto sicuro ma è un’organizzazione “molto onerosa e tecnicamente all’avanguardia. Ma avere centri nascita dove non nascono bambini li destina a essere cattedrali nel deserto. Medici e operatori sanitari diventano come il grande pianista che non si allena e se un centro fa un paio di parti a settimana non può esistere. Oggi anche importanti punti nascita non sono già nella misura richiesta. Serve dunque uno sforzo di riorganizzazione del sistema. Dobbiamo immaginare anche grazie alla tecnologia di ricambiare nuovamente impostazione”.
La società cambia, prosegue Lorenzin. “E occorre seguire la donna e il bimbo dopo il parto in un altro modo, un tempo questo era compito della comunità allargata di donne che circondava la neo mamma”. Mancano ostetriche e ginecologi, e i concorsi nelle aree rurali e geograficamente difficili vanno deserti? “Bisogna trovare un sistema di rotazioni, come per i magistrati perché non possiamo pensare che chi abita in aree rurali sia abbandonato dai servizi essenziali”, propone.
Anche qui poi entra in gioco la tecnologia: con il 5G e la telemedicina oggi possiamo fare una visita specialistica a una persona in cima a una montagna avendo il top in una situazione virtuale che è lì presente. Dobbiamo anche ripensare il sistema di assistenza tramite applicazioni tecnologiche che già ci sono e faranno la differenza fra chi saprà applicarle e chi meno”. Altro tema la medicina difensiva: “Dopo 4 anni purtroppo siamo ancora in attesa di decreti attuativi dopo aver fatto una legge che puntava proprio ad evitare la medicina difensiva”.
Servono tanti tasselli, conclude, e “c’è anche tutta una parte economica e finanziaria, dall’assegno unico a misure come i congedi parentali: ora con l’emergenza Covid tante mamme sono a casa nelle zone arancioni e rosse. Siamo ancora in una società in cui una donna fatica a immaginarsi madre perché vuol dire ancora oggi rischiare di perdere il lavoro, o non trovarlo proprio. Se non togliamo l’ipocrisia di fondo, il problema non lo risolviamo”.