“Sottovalutati i casi di importazione, la sfida saranno i focolai autunnali”. Lo spiega sul ‘Messaggero’ l’epidemiologo Andrea Crisanti, direttore del Laboratorio di Virologia e Microbiologia dell’Università-azienda ospedale di Padova. Predisporre test e tamponi per i voli in arrivo, come è stato deciso dalla Regione Lazio per quelli provenienti da Dacca, è “un passo nella direzione giusta”, dice Crisanti. Ma perché sia efficace, serve la giusta “capacità operativa. Sono misure che funzionano, sono state applicate con un certo successo sia in Nuova Zelanda che in Australia. Ma chiaramente serve la logistica, bisogna vedere quanti passeggeri ogni giorno vengono tracciati. Occorre poi fare delle stime”.
Cosa servirebbe per metterlo in pratica? “Bisognerebbe vedere l’entità del problema: cioè quante sono le persone che arrivano, capire se siamo in grado di tracciare anche quelle che sono state in scali intermedi. Servirebbe dotare le frontiere della possibilità di accesso al codice di prenotazione che permette di identificare il tragitto”. Bisognava pensarci prima? “Certo, sarebbe stato meglio, ma sono contento perché sono mesi che sto dicendo che va fatta questa misura. Teoricamente saremmo ancora in tempo, diciamo che siamo all’ultimo momento giusto”. Passata l’emergenza, ora preoccupano i focolai. “Sono normali. Già ad inizio di aprile avevo detto che l’epidemia sarà costellata da tanti focolai e che bisogna avere la capacità di isolarli e controllarli. A questo punto aggiungo che probabilmente a ottobre-novembre saranno sicuramente più frequenti e di dimensioni maggiori”.
Focolai e seconda ondata, tutti insieme? “La differenza tra focolai e seconda ondata si basa tutta sulla nostra capacità di reazione, sulla tempestività con la quale vengono identificati e sulle procedure che verranno applicate. La differenza sta tutta lì. Paradossalmente dipende da noi”, spiega ancora Crisanti.
Ma i rischi maggiori arrivano dai casi autoctoni o da quelli importati? “E’ difficile da dire. Sicuramente il virus circola ancora, e a un certo punto si confonde tutto. L’Italia sta in una bolla, il virus ormai sta in tutto il mondo, domenica ci sono stati più di 200mila nuovi casi, siamo in piena pandemia”. C’è stata qualche falla nella valutazione dei rischi? “E’ stato sottovalutato l’impatto dell’importazione di nuovi casi. La maggior parte dei focolai sono tutti di importazione e sicuramente non è stato forse valutato a pieno quello che sta succedendo negli altri Paesi come Israele, o anche la stessa Spagna”.
Potrebbe essere utile una sorta di trattamento sanitario obbligatorio per chi mette a rischio la salute degli altri? “Il tso esiste soltanto per le malattie psichiatriche, perché si presume che la persona in quel momento non sia in grado di decidere qual è il suo bene e poi perché potenzialmente può arrecare danni a terzi, e comunque è un caso estremo. Poi creerebbe un precedente interessante”, continua, convinto che serva uno strumento straordinario ‘ad hoc’.
“Bisognerebbe circoscriverlo soltanto in caso di interesse di sanità pubblica. E’ una questione molto complessa. E poi se noi prendiamo una persona per fargli un tso, dobbiamo dargli una cura che funziona. E al momento non esistono terapie efficaci per il Covid. Quindi non sarebbe più un tso ma una detenzione sanitaria. Serve uno strumento straordinario, legato solo all’epidemia”, precisa.
“E poi noi l’epidemia finora l’abbiamo controllata senza il tso”. Sì, però c’era il lockdown. Bisognerà ricorrere di nuovo a misure così restrittive? “No, certo che no. Ma è un argomento giuridico complesso. Per me – insiste Crisanti – ogni caso è un caso di troppo. Sicuramente quella persona va messa nelle condizioni di non trasmettere il virus”. Quali altre misure potrebbero servire? “Il comportamento individuale è importante, e poi non bisogna dare messaggi incoerenti. Per esempio, dire che il virus è clinicamente morto: non si è mai sentito dal punto di vista scientifico”.
C’è poi la questione dei tamponi, che rilevano una presenza bassa di Rna. “Statisticamente sì, significa che c’è meno virus”. E non significa che il Covid provoca meno danni? “Per ora siamo fortunati, stiamo ancora beneficiando del lockdown e di condizioni climatiche favorevoli, e ancora molte persone stanno attente. Il sistema in questo momento è sotto test lieve e sta rispondendo abbastanza bene. Ma cosa sappiamo di quello che succederà tra un mese o due?”.