Preconizza una “rivolta dei condomini” il presidente dell’Ordine dei medici di Milano, Roberto Carlo Rossi. Motivo: la possibilità che nei prossimi giorni i medici di famiglia comincino a fare tamponi rapidi nei loro studi, in base all’accordo siglato a livello nazionale non da tutte le sigle sindacali. “Non so cosa verrà fatto qui in Lombardia, come ci si organizzerà, ma posso assicurare che in contesti come gli studi nei condomini, specie in realtà urbane come Milano e hinterland o Brescia, questa cosa è semplicemente impossibile”, sottolinea all’Adnkronos Salute.
Per vari motivi, elenca Rossi: “Per capire il clima in cui stiamo già lavorando, racconterò un episodio: ho appena ricevuto una diffida dal legale del condominio, dove ho lo studio perché chi vive nel palazzo sostiene di aver incontrato un mio paziente senza mascherina”. C’è un livello di preoccupazione altissimo, con i contagi in impennata costante nelle ultime settimane, fa notare il camice bianco.
“Posso assicurare – prosegue – che la gente farebbe assemblee condominiali per buttare fuori i medici e si instaurerebbero un sacco di battaglie legali. Riteniamo che si tratti di una questione di sicurezza. E’ veramente pericoloso. Gli spazi che sono all’interno degli studi dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta sono limitati. Ci vogliono spazi grandi per fare questa attività” di testing, “serve adeguato distanziamento. Vale lo stesso discorso dei vaccini”.
Secondo Rossi, “saranno pochi i contesti in cui sarà possibile fare i tamponi rapidi in studio. Per esempio, ho una collega che ha il suo ambulatorio in una palazzina con entrata indipendente in cui si trovano solo studi medici. Lei li può fare lì, ma sono casi rari. Aspettiamo ovviamente di vedere come la Lombardia declinerà questo aspetto”.
“Ritengo una follia l’accordo che prevede la possibilità che i medici di famiglia facciano i tamponi rapidi nei loro studi. E’ pazzesco e rischioso per salute. Un medico può anche mettersi a disposizione, ma si pone un altro problema, e cioè che i camici bianchi che fanno questo devono essere protetti in maniera completa con tutti i dispositivi necessari. Non solo mascherine, ma camici, sovrascarpe, occhiali e quant’altro. Altri medici mandati a morire non ne voglio più vedere”.
“Non si riesce a capire bene – dice all’Adnkronos Salute – se quanto previsto nell’accordo valga ‘erga omnes'”, visto che ci sono sigle sindacali che non hanno firmato. “Credo ci debbano essere dei passaggi che in questo momento non ci sono, ma comunque bisognerà garantire protezioni e spazi adeguati. Fare i tamponi implica sollecitare la tosse nel paziente. E’ un lavoro rischioso e si fa ben protetti. Non possiamo far rischiare la vita al medico e agli altri. Si pensi al fatto che, se un medico di famiglia si contagia, rischia di contagiare anche altri suoi pazienti. Chi vuole fare i tamponi deve farlo in spazi corretti, dunque, e con le protezioni adeguate, altrimenti neanche loro possono e devono farli”.
“Non so ancora cosa farà la Lombardia per questo accordo – continua Rossi – ma se venissero messi a disposizione spazi adeguati come si è fatto per i vaccini e ovviamente tutti i Dpi, i camici che volontariamente decidono di aderire potrebbero farlo, a queste condizioni. Certo, non so come si possa trovare il tempo. Oggi noi medici di famiglia passiamo ore al telefono, i nostri assistiti chiamano per sintomi, passiamo la giornata fra computer, burocrazia ed è già così una situazione insostenibile. Mi chiedo: se siamo già impegnati così non so come si farà a mettersi a disposizione anche per i tamponi. Forse chi ha pochi pazienti o non fa attività di studio può dare la sua adesione. Certo è che non puoi obbligare i medici a farli. Forse la cosa può funzionare e si può realizzare in aree dove c’è un pressing minore sul fronte contagi. Qui in Lombardia non credo proprio”.