Nelle persone che hanno avuto una forma di Covid meno grave, il livello di anticorpi prodotti dal sistema immunitario per combattere il virus si dimezza entro un mese dalla guarigione. Questo rapido declino degli anticorpi deve essere confermato da studi più ampi e di lungo periodo – già in corso all’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano – ma allo stato attuale suggerisce che le persone che hanno già contratto il virus non devono abbassare la guardia, ma continuare, come tutti, ad adottare le misure di riduzione di rischio individuale di contagio. Sono i risultati di uno studio pilota realizzato dal team del Laboratorio Covid dell’Ieo, guidato dai ricercatori Federica Facciotti, Marina Mapelli e Sebastiano Pasqualato, appena pubblicato sul Journal of Clinical Medicine.
I risultati dello studio, oltre a raccomandare attenzione anche da chi ha già avuto il virus, suggeriscono inoltre che il test sierologico non può essere utilizzato per rilasciare l’ipotetica ‘patente di immunità’, ma è efficace come sistema di monitoraggio sistematico per identificare e bloccare sul nascere i nuovi focolai. “Abbiamo studiato i sieri di 16 malati di forme meno gravi di Covid – spiega Mapelli – e di 23 che hanno invece richiesto il ricovero ospedaliero in terapia intensiva. Li abbiamo quindi confrontati con i sieri di 436 soggetti sicuramente non infetti, in quanto aderenti a studi Ieo svolti prima del 2015”.
“Abbiamo trovato che i pazienti non ospedalizzati – continua – avevano livelli di tutti gli anticorpi anti-Covid più bassi rispetto ai pazienti ricoverati in terapia intensiva, e che questi livelli, eccetto quelli degli anticorpi contro la proteina virale N, risultavano dimezzati entro un mese dalla scomparsa del virus dall’organismo. La nostra osservazione si è fermata, per ora, a 4 settimane dalla negativizzazione, ma stiamo studiando la ‘vita degli anticorpi’ per un periodo più lungo e in una popolazione più ampia, all’interno di un progetto di sorveglianza e analisi dell’immunità che riguarda un campione di 1500 dipendenti Ieo, svolto in collaborazione con la Fondazione Europea Guido Venosta”.
“I nostri risultati confermano gli studi cinesi e inglesi – aggiunge Pasqualato – che, su popolazioni diverse, hanno dimostrato gli anticorpi anti-covid diminuiscono nel tempo e dunque aver avuto l’infezione non è di per sé un’assicurazione contro il virus. Va precisato tuttavia che il concetto di immunità non è solo legato agli anticorpi perché il sistema immunitario utilizza anche altre difese anti-virus, tra cui l’immunità cellulare. Potrebbe accadere che la mancanza di anticorpi permetta una possibile reinfezione per nuova esposizione al virus, ma non si sviluppino sintomi di malattia perché il sistema immunitario, già allenato, si attiva. In attesa di ulteriori studi sulla reinfezione è importante che chi ha già contratto il virus, sia in forma lieve che grave, si comporti come il resto della popolazione indossando la mascherina, osservando il distanziamento, lavandosi di frequente le mani e partecipando agli studi di tracciamento, ove disponibili”.
“Il tema della reinfezione – spiega Facciotti – diventa importante nella seconda ondata del virus, ma il tracciamento delle persone positive al Covid si è presentato come una priorità sin dall’ esordio della pandemia. Il tampone naso-faringeo è infatti uno strumento economicamente oneroso, ed è in grado di dare riposte circa la presenza di infezione esclusivamente al momento del prelievo. Per questo in Ieo ci siamo concentrati anche sull’elaborazione di un test sierologico Elisa (acronimo per Enzyme Linked Immunosorbent Assays) in grado di misurare la quantità di anticorpi prodotti dal sistema immunitario in risposta al contatto virale, e la loro persistenza nell’organismo”.
“Abbiamo messo a punto, in collaborazione con il Laboratorio di Federico Forneris dell’università di Pavia, un test che rileva le immunoglobuline G (IgG), affidabile al 95%, a un costo accessibile per tutte le strutture di ricerca. Successivamente lo abbiamo utilizzato per uno studio pilota su un campione di medici e infermieri malati di Covid-19, con l’obiettivo di identificare l’intensità e la durata dell’azione protettiva degli anticorpi nei soggetti infettati”, conclude Facciotti.