“Mentre nella prima ondata pandemica, solo un anno fa, per quanto riguarda le cure anti-Covid, non avevamo le idee chiare e usavamo terapie su base clinica, adesso abbiamo dei criteri ben precisi. Sappiamo, quando arriva il paziente in ospedale, che dobbiamo controllare determinati dati strumentali e possiamo impostare una terapia adattata alle condizioni cliniche del malato. Possiamo subito partire con una cura, ed è un grande passo avanti”. Lo spiega Pierachille Santus, docente di malattie respiratorie università degli Studi di Milano e direttore di Pneumologia all’ospedale Sacco del capoluogo lombardo.
“Da marzo ad oggi – continua – l’approccio è cambiato in termini di una maggiore conoscenza della malattia, ovvero dei meccanismi patogenetici che la caratterizzano. Conoscendo un po’ meglio la malattia quanto meno riusciamo ad avere parametri che ci permettono di caratterizzare meglio il paziente. E capire quando intervenire e come. Un anno fa non avevamo dati su cui poter fare affidamento e si testavano sul campo i farmaci che si pensava potessero avere utilità. Oggi abbiamo dei dati che derivano da studi clinici ampi, randomizzati, controllati che ci permettono di avere delle indicazioni di utilizzo più dettagliate e precise”, dettaglia Santus.
“Nell’ambito degli antivirali, ad esempio, abbiamo la possibilità di poter utilizzare farmaci con indicazioni precise. Sicuramente tra gli antivirali utilizzati maggiormente e che hanno dati più precisi, c’è remdesivir, primo farmaco autorizzato contro Covid, che è stato utilizzato e validato in studi clinici e ci ha dato indicazioni di uso e risultati positivi. Oggi sappiamo soprattutto come e quando usarlo per migliorare l’andamento clinico della malattia e ridurre l’ospedalizzazone. Questo ci permette di far stare bene dei malati e avere maggiori posti a disposizioni in ospedale”.
L’antivirale, ricorda Santus, si utilizza per una fascia specifica di pazienti, ovvero malati che “non sono sottoposti a trattamento con casco o ventilazione invasiva, ma che necessitano di ossigeno ‘non ad alti flussi’ e con sintomi che si sono manifestati entro i 10 giorni. Per il remdesivir, insomma, identifichiamo una precisa categoria di pazienti, nei quali è importante usarlo sia per migliorare le condizioni di salute sia per l’efficienza del Servizio sanitario, grazie alla riduzione dei tempi di ospedalizzazione”, conclude.