Esaurimento fisico e psicologico, mancanza di relazione di cura con il paziente, bisogno di fuggire e allontanarsi dalla propria vita. Sono questi i tre principali segnali d’allarme del ‘burnout’, il fenomeno di blackout psicofisico in forte aumento tra medici e personale sanitario. “E’ fondamentale imparare fin da subito a riconoscere i campanelli d’allarme, per intervenire in tempo ed evitare l’esplodere del fenomeno”, spiega lo psicoterapeuta Giorgio Nardone, autore, in collaborazione con Consulcesi, di una serie di corsi di educazione continua di medicina rivolti a medici e operatori sanitari, gratuiti sulla piattaforma Consulcesi Club. Una serie di lezioni video e sessioni pratiche per imparare a riconoscere il burnout e agire con strumenti adeguati. Il primo video è “Dalla pandemia al burnout. Lo stress lavoro-correlato nei sanitari”.
“Già prima della pandemia – afferma Nardone – questo disturbo era in crescita in ambito medico-sanitario. Ora sta assumendo proporzioni enormi. Spesso i medici e gli operatori sottovalutano la loro condizione, molti lavorano senza sosta e non hanno il tempo né la possibilità di recupero dallo stress e dalla stanchezza. Gli ospedalieri, per esempio, sono costantemente sotto pressione. E poi, – prosegue – pensiamo agli operatori sanitari si sono allontanati volontariamente dalle proprie abitazioni per evitare di contagiare i familiari e ancora, al flusso di rientro dei medici in pensione. Tutto questo si è aggiunto a carenze croniche della professione come turni massacranti, mancanza di dispositivi e di personale, generando quella che potrebbe divenire una bomba ad orologeria”.
Come intervenire in tempo? Due le modalità principali, secondo Nardone: “quella della socializzazione dell’esperienza, ovvero con la creazione di una rete di confronto, attraverso gruppi di confronto gestiti da un esperto, un contenitore per far emergere preoccupazioni e ansie che altrimenti si anniderebbero nella mente generando confusione. Un metodo con solide evidenze scientifiche, molto efficace soprattutto nella fase iniziale del disturbo. Nel lungo periodo, invece – spiega – occorre guidare l’individuo a gestire il suo stress, con un percorso specifico che prevede strumenti con ad esempio la scrittura quotidiana di un diario. La tecnica è la stessa utilizzata per gli eventi traumatici come quelli che hanno affrontato i medici in epoca Covid, a partire dalla persona malata che non si è riusciti a guarire alla dolorosa scelta su chi trattare e chi no alla lontananza da casa”.
Tra i fondamentali del corso – riferisce una nota Consulcesi – si imparerà a riconoscere i primi segnali da tenere in considerazione. In primis, la sensazione di fatigue, cioè debolezza e spossatezza prolungate sia dal punto di vista fisico che psicologico. Il secondo segnale è la cosiddetta ‘oggettivizzazione’ del paziente, cioè quando l’empatia viene a mancare impedendo la relazione di cura tra medico e paziente. In terzo luogo, bisogna porre attenzione a quando il professionista vive profondo disagio per un tempo prolungato rispetto alla sua attività e condizione di vita e desidera allontanarsi, fuggire via.
Va ricordato che il burnout dei sanitari assume caratteristiche diverse e specifiche rispetto ad altri professionisti, con alcune specificità che bisogna tenere presente, come ad esempio la relazione d’aiuto nei confronti del paziente, la stessa che durante la pandemia li resi agli occhi della cronaca eroici e martiri. E che ora, se non si interviene in tempo, potrebbe portarli a ‘bruciarsi’.