“Diamo la possibilità a chi è stato malato di Covid-19 di muoversi”, di spostarsi dal loro luogo di residenza e di trascorrere le feste con le persone care. “Considerato tutto quello che hanno passato, le sofferenze patite, la quarantena rispettata” e il fatto che “i casi di reinfezione documentati sono rarissimi”, fare “un’eccezione per i pazienti guariti” che hanno sviluppato anticorpi contro Sars-Cov-2 “dovrebbe essere un’opzione prevista dal Dpcm”. A lanciare l’appello attraverso l’Adnkronos Salute è l’internista Nino Mazzone, direttore del Dipartimento Area medica dell’Asst Ovest Milanese, che a novembre si è ritrovato all’improvviso ‘dall’altra parte della barricata’: ricoverato nel reparto che guida all’ospedale di Legnano.
Nelle scorse settimane la storia di Nino, ‘camice’ diventato improvvisamente ‘pigiama’, è finita sotto i riflettori dei media. “Mi ero salvato dalla prima ondata – aveva raccontato lo specialista, siciliano trapiantato da anni in Lombardia – ne avevo curati e gestiti 1.281, pensavo di essere immune e invece eccomi qui”. Una notte con la febbre e la tosse, a colazione “uno yogurt che ti sembra calce”, e “capisci che è arrivato” anche se “4 giorni prima il tampone era negativo”. Dopo i difficili giorni del ricovero, trascorso nella doppia veste di paziente da assistere e capo al quale chiedere direttive, Mazzone avanza la sua proposta e la motiva scientificamente.
“Recentemente – afferma lo specialista – su ‘The Lancet Infectious Diseases’ e in un nostro lavoro su più di mille pazienti pubblicato sul ‘Journal of Infectious Diseases’, si sottolinea come la possibilità di reinfettarsi” dopo essersi ammalati di Covid-19 “è davvero rara e sono pochissime le segnalazioni in letteratura”. In particolare è stato descritto “solo un caso, nello stato americano del Nevada, di una seconda reinfezione più grave della prima”. E comunque “dobbiamo stare molto attenti – avverte Mazzone – perché nei pochissimi casi di reinfezione ben documentati non erano presenti anticorpi dopo il contatto con il virus”. Anticorpi la cui presenza i test disponibili permettono di misurare, evidenzia l’esperto.
“Come abbiamo dimostrato – spiega Mazzone – l’infezione da Covid-19 agisce sulle nostre difese naturali” con vari effetti: innanzitutto “modifica i monociti che sono il ‘direttore d’orchestra’ del nostro sistema immunitario. La risposta immunitaria al virus Sars-Cov-2”, ricorda inoltre il medico, “è mediata da due tipi di cellule, i linfociti B e T. I primi sono quelli responsabili della produzione di anticorpi, mentre i linfociti T memoria sono in grado di eliminare le cellule Covid-infette” e riescono a ‘ricordare’ molto a lungo il nemico con il quale l’organismo è entrato in contatto. “Accade in alcuni casi che la risposta al virus è insufficiente a stimolare i linfociti T memoria, e in questi casi la mancanza di anticorpi neutralizzanti può spiegare gli episodi di reinfezione”.
“Oggi però nelle persone che si sono ammalate possiamo dosare gli anticorpi anti-Covid e quantificarli. Pertanto è come se si fossero immunizzati o avessero fatto il vaccino”, ragiona Mazzone secondo il quale “con le conoscenze attuali il vaccino non va fatto a chi ha avuto la malattia. Sono necessari anni di osservazione per verificare se una persona perde l’immunità umorale e/o cellulare”. L’esperto ne fa anche una questione di comportamenti: al di là del loro stato immunitario che li protegge da una nuova infezione, gli ex malati Covid “hanno pagato di persona e sono sicuramente molto più sensibili a mantenere le distanze, a mettere la mascherina a lavarsi le mani frequentemente. Considerando sempre che è possibile la reinfezione, ma che la probabilità è davvero bassa”.
“Spero che questa eccezione possa essere sostenuta – auspica l’internista guarito e tornato da giorni al suo lavoro in prima linea – in quanto scientificamente dimostrata di buon senso e accettata” nelle sue basi “dal Comitato tecnico scientifico. Permetteteci di spostarci”, chiede Mazzone. “Lasciateci liberi”.