(Adnkronos) – “Dopo la pandemia la nostra visione di cura è cambiata. Abbiamo il dovere di ridisegnare il modello sanitario globale, facendo tesoro dell’esperienza acquisita durante la pandemia e grazie all’aiuto dei fondi del Recovery Fund”. Lo sottolinea Felice Eugenio Agrò, professore ordinario e direttore di scuola di specializzazione in anestesia e rianimazione del Campus Bio-Medico, nella lectio magistralis tenuta al convegno “Come la pandemia Covid-19 ha cambiato la nostra visione di cura”, organizzato da M5S in Senato.
“Dobbiamo riorientare le politiche sanitarie per avere più universalità ed equità, più sanità pubblica, più cure primarie – rimarca Agrò – Questi obiettivi sono difficilmente raggiungibili in un modello sanitario pluralistico come quello americano, invece sono maggiormente perseguibili in un modello sanitario universalistico come quello italiano. Il nuovo modello di salute globale, dove sicurezza globale ed universalità delle cure si fondono, può essere riassunto in 4 principi: integrazione, finanziamento, resilienza, equità. Integrazione tra sistema di prevenzione e sistema di erogazione delle cure – spiega – ed equità intesa come accesso universale alle cure primarie dei cittadini dei paesi più poveri. La tutela della salute non è solo un diritto sancito dall’articolo 32 della nostra costituzione, ma, come dice Oscar Wilde, la tutela della salute è il primo dovere della vita”.
“Spesso dall’Italia e da altri Paesi del mondo si vedono gli Stati Uniti d’America come una nazione leader da imitare – conclude – posso affermare con orgoglio italiano, senza timore di smentite, che in ambito sanitario gli Usa debbono vedere l’Italia come un modello di sanità pubblica universalistica da imitare e perseguire nel più breve tempo possibile”.
Negli States è sempre più diffuso il turismo della salute: i cittadini senza assicurazione sanitaria, fanno le valigie e partono per curarsi senza rovinarsi economicamente. “Negli Usa, dove il bene salute è considerato non un diritto, ma un bene di consumo e dove lo Stato non interviene nel finanziamento dell’assistenza sanitaria al cittadino, è nato il medical tourism, il fenomeno per cui 45 milioni di americani, che non possono usufruire del servizio sanitario e che non possono permettersi una copertura sanitaria assicurativa, vanno a curarsi all’estero per spendere almeno il 70% in meno rispetto ai pricing statunitensi di cura negli ospedali”, traccia il quadro Agrò.
“Per esempio, un intervento di sostituzione della valvola cardiaca, che costerebbe circa 200 mila dollari negli Usa, costa circa 30 mila dollari in India, in Corea del sud o in altri Paesi – spiega – con un risparmio di circa l’85% dei costi americani, pur includendo il volo andata e ritorno e l’hotel. Lo stesso intervento in Italia costa il 90% in meno che in America, costa circa 20 mila euro anziché 200 mila dollari. In Italia non solo la salute è un diritto sancito dalla Costituzione ma viene erogato in sicurezza, qualità e appropriatezza. Il nostro sistema sanitario riesce ad allineare le politiche di sicurezza sanitaria globale con quelle di copertura sanitaria universale”, sottolinea. “La salute in una concezione statica non è altro che l’assenza di malattia, mentre in una concezione dinamica la salute viene identificata come stato di benessere derivante dall’equilibrio tra il corpo e la psiche. Per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) la salute è uno stato di benessere fisico, psichico e sociale, purtroppo – afferma Agrò – a volte si sottostima l’aspetto psichico e sociale della salute. Sappiamo che la scienza medica non si occupa tanto di guarire le malattie, quanto di curare le persone malate secondo i modelli di sistema sanitario presenti nel mondo”.
Agrò passa in rassegna i “diversi modelli di organizzazione sanitaria. Quelli più conosciuti sono tre, il modello pluralistico, il modello mutualistico e quello universalistico. In un sistema di salute pluralistico come quello esistente negli Usa, il bene salute è considerato un bene di consumo. Lo Stato non interviene nel finanziamento dell’assistenza sanitaria, alla quale provvedono i cittadini attraverso assicurazioni sanitarie private. In America lo Stato non è responsabile della salute del cittadino e non possiede ospedali, regolamentando il mercato dei servizi sanitari con organi di indirizzo simili a quelli di altri settori (antitrust, licenze, autorizzazioni). La programmazione, il finanziamento, la gestione e il controllo della salute sono lasciati alla libera negoziazione tra cittadini e strutture private e la stipula di un’assicurazione sanitaria è facoltativa. Invece, in un sistema di salute mutualistico come quello esistente in Francia, in Germania, in Olanda, in Canada – prosegue Agrò – il bene salute è considerato sempre un bene di consumo come in Usa, ma un bene di consumo garantito e regolamentato, basato su organizzazioni mutualistiche a regolamentazione statale, la cui appartenenza è obbligatoria. Nel sistema di salute mutualistico, lo Stato è responsabile per la politica sanitaria nazionale, regolamenta le mutue rendendone obbligatoria l’iscrizione. Nel sistema di salute mutualistico, il finanziamento sanitario è compartecipato tra datori di lavoro e lavoratori”.
“Rispetto al sistema pluralistico degli Usa e al sistema mutualistico di Francia, Germania, Olanda e Canada, in un sistema di salute universalistico come quello esistente in Italia, il bene salute non è un bene di consumo, ma è un diritto del cittadino, sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione – ricorda Agrò – Nel sistema di salute universalistico italiano lo stato è responsabile della politica sanitaria nazionale, raccoglie i fondi attraverso la tassazione generale, alloca le risorse alle strutture in base alla programmazione sanitaria e controlla l’erogazione dei servizi”. La pandemia di Covid-19 “ha messo a dura prova i vari modelli di sistema sanitario nei 5 continenti, rilevandone limiti e manchevolezze, ma anche pregi e positività per ottemperare al diritto alla salute del cittadino nei vari Stati e continenti”, chiosa. E ricorda, ripercorrendo col pensiero questi ultimi, lunghi anni: “Sono trascorsi 26 mesi di lotta al Covid-19, mesi nei quali medici, infermieri, tecnici, operatori delle pulizie hanno vissuto un periodo intriso di paure, di dolore, ma anche di gioia ed entusiasmo per i pazienti guariti”.