L’omeopatia continua a generare dibattito nel mondo della scienza e non solo. “Chi l’attacca spesso sostiene che non esistono studi scientifici a sostegno della sua plausibilità e che, tutt’al più, le si può attribuire un effetto placebo. Ma pochi vanno oltre e altrettanto pochi sanno che alcuni studi ‘detrattori’ di questa pratica, primo fra tutti il Rapporto australiano del National Health and Medical Research Council (NHMRC), sono stati smontati, che il Ceo dello stesso NHMRC ha fatto un passo indietro, e che ora si attende – purtroppo da 4 anni rispetto ai soliti 6-18 mesi necessari – il pronunciamento di un tribunale, l’Ombudsman del Commonwealth australiano, che sta indagando sulla correttezza del report”. Così Rachel Roberts, Chief executive dell’Homeopathy Research Institute (HRI) di Londra, partecipando a un webinar sulla ricerca in omeopatia con la stampa italiana.
L’esperta dell’HRI – fondazione internazionale impegnata sulla promozione di una ricerca scientifica di alta qualità in omeopatia – facendo il punto sullo stato dell’arte della ricerca, ha dettagliato anche le fasi della vicenda australiana, rimbalzata ampiamente sui media, quando nel 2015, il Rapporto del NHMRC è stato ritenuto la conferma definitiva dell’inefficacia dell’omeopatia. Media in tutto il mondo, infatti, hanno riportato le conclusioni del rapporto, che sembravano evidenziare che l’omeopatia non funziona in alcuna condizione clinica.
“Hanno riportato solo le conclusioni, appunto – osserva Roberts – laddove l’importante istituto di ricerca australiano aveva elaborato ben 300 pagine di documentazione, e 282 di appendice. Il tutto sintetizzato in 40 pagine destinate al pubblico e ai media. In realtà – sostiene – questo rapporto è così impreciso e poco corretto che noi, come HRI, lo abbiamo smontato in ogni suo punto grazie a un lavoro di ‘ingegneria al contrario’ ripercorrendo cioè le analisi fatte dallo stesso istituto”.
In particolare – spiega l’esperta – “è stato detto che la valutazione rigorosa era stata fatta su oltre 1800 articoli, da qui i titoli sui giornali “1800 studi dicono che l’omeopatia non funziona”. Cosa falsa perché il report si è concentrato solo su 176 articoli, senza mai chiarire al pubblico che erano stati usati dei criteri di ‘affidabilità’, come quello del minimo di 150 partecipanti al trial, che portavano a scartare la maggior parte degli studi, riducendoli a 30. E non è mai stato detto che altri criteri facevano sì che venissero esclusi altri trial dell’analisi. Per esempio, sul criterio del numero minimo di volontari – precisa – abbiamo verificato che non esiste una soglia minima, ma in quel caso l’ha decisa il NHMRC, e che lo stesso istituto finanzia studi con meno partecipanti. Ma ci sono tante altre contraddizioni e studi scartati a priori in modo scorretto. Dunque – spiega Roberts – su 179 studi discussi, alla fine il report ne ha ‘salvati’ solo 5, scartando tutta l’evidenza degli altri”.
Per questo, “dopo il nostro lavoro all’HRI, abbiamo scelto di percorrere la strada legale con una denuncia all’Ombudsman, il difensore civico australiano, al quale abbiamo dovuto dimostrare che c’è stato un ‘intento deliberato di distorsione’ dei dati. Non solo, dalla nostra indagine abbiamo scoperto che la ricerca del NHMRC era stata fatta due volte, ma i risultati della prima non erano mai stati comunicati. Così abbiamo messo in piedi una campagna con lo slogan ‘liberate il primo rapporto’, costringendo l’NHMRC a renderlo noto. Il NHMRC ha diffuso una prima bozza di rapporto realizzato nel 2012, che riscontrava ‘evidenze incoraggianti a favore dell’efficacia dell’omeopatia’ per cinque condizioni mediche tra cui l’otite media, l’infezione del tratto respiratorio superiore negli adulti e alcuni effetti collaterali del trattamento del cancro”.
“Dopo le tante pressioni esercitate, nel 2016, il Ceo dell’istituto ha dovuto fare un chiarimento pubblico, sostenendo che il rapporto non aveva concluso che l’omeopatia è inefficace. Dunque oggi - osserva – chiunque dica che non funziona o che è un placebo facendo riferimento al rapporto australiano afferma il falso. Ma nonostante il passo indietro del Ceo – fa notare Rachel Roberts – questo rapporto ha fatto molti danni. Ora il NHMRC si è rivolto a un nuovo fornitore di servizi per rivedere le evidenze sull’omeopatia. Tutti gli studi sono stati ripetuti, e la speranza è che venga tutto fatto correttamente, anche se il rapporto esistente ormai si riferisce a studi a gennaio 20013, quindi mancano tutti gli altri studi, perché nel frattempo la ricerca continua. Ma ovviamente adesso controlliamo e monitoriamo tutto. Inoltre continuiamo ad aspettare il verdetto dell’Ombudsman, che solitamente arriva dopo 6-18 mesi, ma che attendiamo da 4 anni e non sappiamo quando arriverà.
L’esperta in videocollegamento da Londra ha passato in rassegna le ultime ricerche in omeopatia, alcune verso placebo, altre in aggiunta di farmaci convenzionali “che hanno mostrato evidenze sull’animale, sulle piante e sull’uomo”. “Per abbattere il muro della diffidenza – ha ammonito – dobbiamo continuare a fare ricerca di qualità, senza disperderla in troppi campi di interesse. L’omeopatia è usata infatti in un’ampia varietà di patologie e ciò ha comportato che i dati probanti raccolti negli anni fossero distribuiti su numerose patologie, con pochi studi replicati sulla medesima condizione. Per il futuro – secondo Roberts – è auspicabile che ci si orienti verso un numero più ristretto di patologie e sul ruolo che l’omeopatia può avere in un approccio di medicina integrata, accanto alla medicina convenzionale”. In particolare, secondo l’esperta, campi molto promettenti sono quelli delle sinusiti, delle otiti infiammatorie pediatriche, dell’artrite, per citarne i principali.
Infine, una riflessione sulla pandemia di Covid-19, “sulla quale ci sono alcuni studi anche in omeopatia, ma per serietà non è bene parlarne prima che ci siano risultati o pubblicazioni”. Quanto all’effetto che la pandemia ha avuto sulla popolazione mondiale, Roberts osserva: “penso che questa esperienza che ci abbia reso tutti più umili, perché ci siamo resi conto che la scienza non è sempre bianco o nero, non è sempre lineare, e le cose non sono così semplici come sembrano. Abbiamo scienziati eminenti che ogni giorno si trovano in disaccordo su cosa è giusto o cosa sbagliato, su cosa dice o non dice l’evidenza, ci troviamo di fronte a informazioni contrastanti o censurate, tutti cercano di parlare di scienza ma spesso il parere di alcuni non in linea con le decisioni governative non viene preso in considerazione, non viene diffuso e comunicato, per non parlare delle fake news che girano in rete”.
Da qui un ‘parallelismo’ con l’omeopatia: “davanti alla ‘infodemia’ scatenata sul Covid-19 per la prima volta tante persone mi dicono di capire ora quanto il messaggio scientifico sull’omeopatia possa essere distorto o censurato. Lo capiscono ora perché c’è qualcosa che li tocca in prima persona come il coronavirus. Spero dunque – conclude – che questa sia un’opportunità per il pubblico a capire, selezionare e discriminare le informazioni nel modo giusto, e senza faziosità”.