(Adnkronos) – “L’orticaria, un’infiammazione della pelle ancora poco nota, ha un peso anche sulla sfera intima, di cui non si parla mai per pudore. Per un uomo affetto dalla malattia avere un rapporto sessuale protetto diventa un problema, così come per una donna vivere i giorni del ciclo è un calvario. Risultato? I pazienti non parlano della loro condizione. Quando si parla di una malattia dermatologica, la prima reazione che sentiamo è ‘c’è di peggio, cosa sarà mai?’. E’ sbagliato: una patologia dermatologica, in una forma idiopatica e grave come può essere l’orticaria cronica spontanea, condiziona pesantemente la vita di chi ne soffre, è bene saperlo”. Così Filomena Bugliaro, coordinatrice delle attività di Federasma e Allergie, in un’intervista pubblicata su ‘Alleati per la Salute’ (www.alleatiperlasalute.it), il portale dedicato all’informazione medico-scientifica, realizzato da Novartis.
“L’orticaria ha un impatto devastante sulla quotidianità di chi ne è colpito, con conseguenze rilevanti, fino alla perdita del lavoro – afferma Bugliaro – Molti pazienti, quando la malattia interessa le estremità, sono costretti a indossare pantofole o stare scalzi perché non possono sopportare calzature troppo strette. Ecco, non si può lavorare in pantofole, a meno che non lo si faccia da remoto, in smart working”.
Una persona su 5 nel corso della vita ha almeno un episodio di orticaria, con un picco tra i 20 e i 40 anni di età e maggior frequenza nel sesso femminile: il rapporto è di 2 a 1, in particolare nella forma cronica. Una patologia che, al di là del fattore estetico, genera stress e ansia, disagio e disturbi del sonno. L’orticaria, infatti, non si limita solo alla difficoltà nel convivere con i sintomi imprevedibili, tra cui pomfi (rilievi solidi della cute di dimensioni e forma variabile che assomigliano a ‘punture di zanzare’, a volte di grosse dimensioni), prurito e angioedema, ma ha un risvolto negativo sulla qualità della vita dei pazienti. Tuttavia, ancora troppi pazienti aspettano anche più di un anno prima di consultare un medico che diagnostichi correttamente la patologia.
“La maggior parte delle persone quando ha dei sintomi si rivolge al proprio medico di medicina generale o va dal farmacista – prosegue Bugliaro – Ma il medico di famiglia non sempre è specializzato in dermatologia. In questo modo i pazienti vengono trattati con rimedi topici, creme, emollienti”.
Perché il medico di famiglia non indirizza fin da subito il paziente a uno specialista? “Difficile rispondere. Di sicuro, con Federasma e Allergie – evidenzia la coordinatrice – quest’anno siamo impegnati a realizzare un progetto con lo scopo di dialogare con i medici di medicina generale e gli specialisti affinché si attivino delle collaborazioni più strette anche attraverso reti territoriali. Non costa nulla per un medico di famiglia mandare il paziente da un dermatologo/allergologo, ma deve conoscere i campanelli di allarme della malattia, perché l’orticaria non è uno sfogo temporaneo. La prima cosa per il medico di base è saper riconoscere che c’è un sintomo, ma non tutti i medici hanno tempo e la formazione giusta per farlo. Spesso il paziente si sente dire che è tutta colpa dell’ansia. Ecco, noi chiediamo di non banalizzare un sintomo dermatologico”.
Secondo Bugliaro, manca anche una rete territoriale per gestire e trattare i pazienti con l’orticaria. “Di fronte a un sintomo che persiste da tempo – avverte – il medico non solo deve essere in grado di riconoscerlo, ma attivarsi subito per garantire al paziente un percorso diagnostico-terapeutico corretto. Deve sapere a chi rivolgersi, perché a volte ci sono centri specializzati che hanno una visione parziale della persona e si limitano a curare la pelle, oppure a sospettare un’allergia sottoponendo il paziente ad approfondimenti diagnostici, per esempio, per allergie alimentari che non c’entrano con una malattia immunologica qual è l’orticaria. Solo con una visione olistica della persona si può arrivare prima e bene a una diagnosi corretta”.
A tale proposito, una survey rileva che il 46% degli intervistati vorrebbe avere più materiale per il monitoraggio sull’andamento e la gravità della malattia. In particolare, chiedono teleconsulto (38%), siti web dedicati (36%) e supporto psicologico (33%). Alla luce di questi dati, secondo Bugliaro, è necessario intervenire su più fronti: “Insistere perché ci sia una maggiore consapevolezza, affinché le persone non si arrendano – tiene a precisare la coordinatrice di Federasma e Allergie – e non si fermino a pensare ‘sono stressata/o, quindi se presto attenzione all’alimentazione per qualche mese mi passa tutto'”.
Sicuramente è importante che anche il paziente acquisisca maggiore consapevolezza attraverso l’informazione che attualmente, rileva l’indagine, ottiene soprattutto dal web (45,7% del campione, di cui su siti dedicati all’orticaria per il 39%); medico e specialista valgono per il 33%. Ma “è altrettanto fondamentale – conclude Bugliaro – parlare di più della malattia, ancora poco nota, tanto più che ci sono a disposizione terapie efficaci, alle quali bisogna accedere il prima possibile, attraverso una diagnosi precoce. E ancora: far conoscere la rete dei centri dermatologici e allergologici in grado di prendere in carico il paziente con orticaria, di individuare la malattia che ha e di trattarla nel miglior modo possibile. Chiaramente, più si rimanda il momento della diagnosi, e quindi della terapia, e più aumenta la probabilità che si presentino sintomi più forti e delle recidive”.
L’intervista completa è disponibile su: https://www.alleatiperlasalute.it/i-numeri-del-mese/orticaria-quello-che-i-pazienti-non-dicono.