L’infiammazione, il metabolismo dei grassi e quello dei carboidrati. L’invecchiamento passa per queste tre strade e a ‘mapparle’ è uno studio pubblicato su ‘Ageing Research Reviews’, frutto della collaborazione tra l’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia), l’università di Bologna, l’università dell’Insubria di Varese e l’università russa di Nizhny Novgorod.
Gli autori hanno indagato sugli ‘orologi’ che contribuiscono a determinare l’età biologica di ogni persona. Perché “la data di nascita sulla carta d’identità non dice tutto”, ricordano da Neuromed e università di Bologna. “Accanto a quella anagrafica esiste infatti un’età biologica, quella che realmente rispecchia di quanto il nostro corpo stia invecchiando. E’ un campo di ricerca che sta destando grande interesse” e che secondo gli scienziati “potrebbe portare a nuove idee su come rallentare il processo di invecchiamento”. Se dunque c’è un’età biologica, gli ‘orologi biologici’ che la definiscono sembrano essere più di uno. “Ce ne sono diversi. Alcuni si sovrappongono, altri sembrano più indipendenti”, sottolineano i ricercatori che nello studio hanno esaminato i lavori scientifici pubblicati negli ultimi anni, relativi alla sovrapposizione dei diversi orologi biologici conosciuti, dal punto di vista sia genetico sia epidemiologico.
“Nel corso del tempo – spiega Alessandro Gialluisi, fellow della Fondazione Umberto Veronesi, primo autore del lavoro – sono stati proposti diversi indicatori di quella che potremmo definire la ‘vera’ età di un individuo. Abbiamo marcatori evidenziabili nelle analisi del sangue, ma anche le immagini del cervello derivate dalla risonanza magnetica, o ancora piccole modifiche chimiche che si accumulano in specifiche posizioni del nostro genoma, per citarne alcuni. In più, esistono dati relativi ad alcuni geni che sappiamo essere coinvolti nell’invecchiamento. In generale, la nostra indagine ha messo in evidenza come questi indicatori contribuiscano a determinare l’età biologica sia separatamente che, in alcuni casi, sovrapponendosi”. E proprio dall’analisi genetica dei diversi orologi biologici gli autori sono stati in grado di definire “tre principali strade comuni che sembrano influenzarli: l’infiammazione, il metabolismo e trasporto lipidico, il metabolismo dei carboidrati”.
“Questi risultati – evidenzia Aurelia Santoro, ricercatrice al Dipartimento di Medicina specialistica, diagnostica e sperimentale dell’università di Bologna – indicano come interventi sullo stile di vita, ad esempio aderire a una dieta di tipo mediterraneo, oppure la restrizione calorica o il digiuno intermittente, possano influire proprio sui tre processi biologici individuati, agendo sui metabolismi, lipidico e glucidico, ma riducendo anche il livello di infiammazione e di stress ossidativo dell’organismo”.
“Nonostante la grande eterogeneità che caratterizza la risposta agli interventi nutrizionali nell’uomo, dovuta sia a fattori genetici sia ambientali e culturali – rimarca Claudio Franceschi, professore emerito dell’ateneo bolognese e direttore del Laboratorio di System Medicine for Healthy Ageing dell’università Lobachevsky di Nizhny Novgorod – l’impatto del regime alimentare sui meccanismi di base dell’invecchiamento rimane determinante”.
“Sono prospettive estremamente interessanti per la medicina – commenta Licia Iacoviello, direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione del Neuromed, ordinario di Igiene e Salute pubblica all’università dell’Insubria – Prima di tutto perché, conoscendo l’età biologica di una persona, potremo riuscire a personalizzare la prevenzione e le eventuali terapie non più sulla sola età anagrafica, ma su come quello specifico individuo stia invecchiando realmente. Inoltre, anche grazie a ulteriori studi che dovranno essere condotti per affinare questi risultati, possiamo cominciare a individuare alcuni elementi capaci di rallentare il processo di invecchiamento, primo fra tutti gli stili di vita come l’alimentazione”.