Dal microbiota intestinale “potrebbero arrivare delle risposte per mitigare la malattia Covid-19”. Lo spiega all’Adnkronos Salute Mauro Minelli, specialista in Immunologia clinica e Allergologia e co-coordinatore della Scuola di specializzazione medica in Scienze dalla nutrizione Dipartimento di Studi europei Jean Monnet.
“Fin dagli esordi della pandemia, sul versante squisitamente clinico (quindi non epidemiologico né strettamente virologico) – ricorda – è subito risultata evidente la valenza ‘sistemica’ della malattia. E allora, pensando alle notevoli differenze che, a livello cellulare e molecolare, caratterizzano le singole patologie, la domanda emergente è diventata: si conoscono vie metaboliche alterate dopo l’infezione da Sars-CoV-2? E se sì, esistono e quali sono le eventuali componenti bioattive, magari derivanti da alimenti, in grado di riaggiustare quelle vie metaboliche?”.
“Dal microbiota – precisa l’esperto – arrivano delle risposte per una nuova credibile opzione terapeutica o, almeno, una scelta terapeutica adiuvante per mitigare, sulla base di robuste evidenze scientifiche, la malattia”. L’ipotesi è che ci possano essere alimenti o strumenti integrativi (prebiotici, probiotici o post-biotici) in grado di riequilibrare la composizione dei batteri intestinali e ‘infastidire’ il coronavirus.
“E’ opportuno però riesaminare il processo attraverso il quale il nuovo coronavirus infetta le cellule dell’ospite – evidenzia l’immunoloogo – E’ ben noto, oramai, che la cosiddetta proteina Spike, presente sulla superficie esterna del Sars-CoV-2, è l’arma con cui quest’ultimo attacca la cellula. Ma per entrare nella cellula il virus deve trovare una via di ingresso, un ‘attracco’ che, nella fattispecie, viene fornito da uno specifico recettore rappresentato dalla proteina Ace-2, presente appunto sulle cellule dell’ospite. Dunque, Ace-2 è la ‘serratura’ attraverso la quale il Sars-CoV-2 ‘inganna’ la cellula umana, penetra al suo interno, la infetta e, conseguentemente, innesca tutto il processo patologico che caratterizza il quadro clinico della Covid-19”.
“Ma le strategie del ‘piano di invasione’ elaborato dal Sars-CoV-2 a danno delle cellule umane, oltre che del recettore Ace-2 che è ‘serratura esterna’, sembrano avvalersi, una volta che il virus è entrato nella cellula, anche del supporto inconsapevole (ma utilissimo al virus) di alcune vie metaboliche dell’uomo, e cioè di una catena di reazioni chimiche attivate e modulate, nello specifico, dall’enzima istone deacetilasi (Hdac) – sottolinea l’immunologo – Ne consegue che il blocco di questo enzima può rappresentare un interessante approccio terapeutico mirato proprio contro l’infezione da Sars-CoV-2. Ne è prova, indiretta ma credibile, il proliferare di studi sperimentali al momento già avviati e finalizzati a individuare farmaci anti Covid-19 orientati ad agire proprio sulla via metabolica modulata da Hdac”.
Secondo lo specialista “è qui che si inserisce un ulteriore elemento di grande interesse, in realtà già considerato dalla Commissione nazionale per la salute cinese e dalla National Administration of Traditional Chinese Medicine che già nel febbraio 2020, emanando delle raccomandazioni specifiche, riconoscevano ufficialmente l’importanza del ruolo del microbiota intestinale nell’infezione Covid-19”.
“In effetti, esiste una precisa e potente correlazione tra il microbiota e l’enzima Hdac di cui si è detto in precedenza – riferisce Minelli – E’ oramai ampiamente dimostrato come i batteri del tratto gastrointestinale siano un importante fattore biotico che interviene nella regolazione di diversi processi metabolici dell’uomo. Molto di questo accade per il tramite dei cosiddetti Scfas (Short-chain fatty acids, ovvero acidi grassi a catena corta) che sono composti assai rilevanti per la salute umana prodotti nelle giuste proporzioni da un microbiota intestinale in equilibrio e, dunque, metabolicamente efficiente. Fra gli Scfas prodotti da alcune specie di batteri intestinali c’è l’acido butirrico che, tra gli altri effetti, ha pure quello di inibire, bloccandolo, l’enzima Hdac. Sicché, oltre a svolgere tutta una serie di funzioni vitali per il buon funzionamento dell’organismo ospite, l’acido butirrico prodotto dai batteri della microflora intestinale acquisisce una significativa rilevanza proprio perché, inibendo l’Hdac, può interferire sull’aggancio e, dunque, sulla penetrazione del Sar-CoV-2 nella cellula umana”.
“Scaturisce da tutto questo – conclude l’immunologo – la necessità di individuare alimenti o strumenti integrativi (prebiotici, probiotici e, semmai, gli emergenti post-biotici) opportunamente selezionati (evitando la somministrazione di ‘fermenti lattici’ a caso) e, dunque, capaci di bilanciare correttamente la composizione del microbiota intestinale, considerando che il suo targeting può, di fatto, rappresentare una nuova credibile opzione terapeutica o, almeno, una scelta terapeutica adiuvante per mitigare, sulla base di robuste evidenze scientifiche, la malattia Covid-19”.