“Quello che il mio lavoro mostra è che nei soggetti che non si sono mai ammalati di coronavirus, in realtà, ci sono tracce (anche abbastanza consistenti) di immunità cellulare (le solite T cells) contro sezioni di SarsCoV-2 che potrebbero essere state stimolate da altri virus che circolano normalmente nella popolazione”. A spiegarlo è Antonio Bertoletti, scienziato italiano in forze all’università di Singapore, professore di Emerging Infectious Diseases alla Duke-Nus Medical School, in un’intervista al ‘Foglio’.
L’esperto parla del suo studio e, in un rapporto preliminare per la rivista ‘Nature’ al riguardo, spiega che: “E’ importante diffondere il messaggio che le cellule T e non solo gli anticorpi sono una parte essenziale dell’immunità antivirale. C’è invece l’idea di una totale assenza d’immunità contro i coronavirus nella popolazione generale. Il che è chiaramente scorretto. Diversi tipi di coronavirus hanno sempre circolato tra gli umani. E’ possibile che un’immunità a virus strettamente correlati possa ridurre la vulnerabilità o alterare la gravità della malattia”.
Bertoletti sottolinea come “nel caso del Covid-19, avere una forte risposta T potrebbe essere la strada per contrastare il virus”. E ancora: “Si parla solo degli anticorpi perché sono relativamente semplici da valutare. Le cellule T sono più complicate da misurare”. Ma “la risposta cellulare T è un’importante componente della risposta immunitaria contro Sars-CoV2. Non solo: questa risposta è con ogni probabilità di lunga durata. Possiamo dirlo perché vediamo che soggetti che hanno avuto Sars 17 anni fa hanno una risposta immunitaria T ancora oggi”. Queste cellule vengono chiamate “cellule T di memoria”, spiega l’esperto ricordando che alcuni coronavirus sono anche all’origine nell’uomo di comuni raffreddori stagionali.
La memoria delle cellule T “rimane – dice Bertoletti – Il concetto che non c’è immunità di gregge è sbagliato. Non c’è se si valutano solo gli anticorpi o se s’interpreta il termine ‘immunità’ come protezione sicura, ma è invece probabile che, se si valutano le T cells, ci sia una popolazione di soggetti (nel nostro lavoro almeno il 50%) che ha memory T cells contro sequenze di Sars-Cov2. Certo, non possiamo dire che queste cellule proteggano ma non si può nemmeno dire che ‘siamo tutti senza immunità'”.
La premessa dello scienziato è comunque che “non sappiamo tanto di questo virus, iniziamo a conoscerne qualcosa ora”. Quanto alle possibili implicazioni degli studi in corso sul fronte terapeutico, “in futuro, forse, l’immunoterapia attualmente impiegata in alcune forme di tumore potrebbe diventare un’arma per difenderci non solo dal virus Sars-CoV-2 ma anche da altre infezioni virali. Quello che so è che abbiamo imboccato una strada affascinante per il trattamento antivirale – conclude Bertoletti – specie nei casi in cui non esistono terapie in grado di contenere un’infezione”.