Il coronavirus Sars-CoV-2 si è diffuso in Italia attraverso ben “13 diversi ceppi virali”. E dopo l’estate a favorire la ripresa della pandemia da Covid-19 sono stati i soggetti superdiffusori, insieme a “microfocolai locali di cui si è perso rapidamente il controllo”. Sono alcune delle conclusioni a cui è arrivato il team internazionale di 28 scienziati guidato da Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di Statistica medica ed Epidemiologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, con Davide Zella dell’Istituto di Virologia umana del Maryland, Usa, e Marco Salemi dell’Università della Florida.
Lo studio, un contributo sul portale ‘MedRxiv’ aperto ai commenti della comunità scientifica, mostra come la pandemia italiana da Covid-19 sia caratterizzata da una diffusione a cluster in ambienti come quelli familiari, le comunità e nelle residenze sanitarie e certifica che l’aumento della mobilità durante l’estate scorsa ha permesso al virus di ‘liberarsi’ e uscire da quegli ambiti chiusi nei quali era rimasto contenuto fino alla fine della primavera, grazie alle restrizioni osservate nel lockdown. Un radicale cambiamento nei comportamenti generali che ha portato alla perdita del tracciamento dei contatti e alla nuova escalation di contagi e decessi degli ultimi mesi.
“I cluster – spiega Ciccozzi – agiscono come serbatoi nascosti della malattia. Piccoli gruppi di individui inizialmente contagiati da un soggetto cosiddetto superdiffusore e poi in grado di contagiare a loro volta a causa della riduzione dei limiti e delle restrizioni al movimento delle persone”. Inoltre, secondo lo stesso studio, le mutazioni in questo virus che differenziano i 13 ceppi in circolazione in Italia, pur avendo inciso sul livello di contagiosità, non modificano la patogenicità del virus né quindi la sua capacità di farci ammalare e di uccidere.
“In effetti – osserva Ciccozzi – la mutazione DG614 che abbiamo individuato lo scorso marzo e che ha reso il virus più contagioso è stata trovata nel 98% delle sequenze genomiche italiane depositate in banca dati”. “In altre parole, se la capacità dei diversi ceppi di trasmettere la malattia varia, non sono cambiati fino ad ora, in base al ceppo, i meccanismi attraverso i quali il virus riesce a entrare nell’organismo umano e a farci ammalare. Dal punto di vista evolutivo – conclude l’esperto – questo significa che la proteina Spike su cui i vaccini a mRna si basano non sembra ad ora coinvolta in queste mutazioni. Quindi l’efficacia vaccinale dichiarata resta invariata”. Un elemento risulta particolarmente importante in vista dell’avvio della campagna vaccinale nazionale.