Con l’aumento dei contagi e lo spettro di un nuovo lockdown, torna l’allarme per lo stop agli interventi non urgenti per dare spazio all’assistenza ai malati Covid in ospedale. Un problema già vissuto ad aprile-maggio, che potrebbe ripresentarsi e che allarma i chirurghi. “La situazione creata dalla pandemia ha causato una contrazione degli interventi di protesi, perché si è dato più spazio alle operazioni salvavita. Questo, ad esempio, ha avuto delle conseguenze sui pazienti bisognosi di una protesi d’anca: si sono allungate le liste d’attesa e poi sono peggiorate le condizioni dei pazienti”. A fare il punto con l’Adnkronos Salute è Alessandro Calistri, ortopedico e traumatologo specializzato in chirurgia dell’anca e ricercatore del dipartimento di Scienze anatomiche istologiche medico legali e dell’apparato locomotore dell’Università Sapienza di Roma.
In Italia il numero di interventi di protesi di ginocchio e di anca è in continua crescita negli ultimi anni: si è passati da 103mila nel 2001 a oltre 190mila nel 2016 (inclusi anche gli interventi per protesi di spalla e caviglia). Molto spesso si arriva alla protesi per l’artrosi all’anca, una condizione che provoca l’usura della cartilagine e dell’osso sottostante, determinando la perdita progressiva dell’autonomia deambulatoria. “C’è oggi un grossa necessità di interventi ricostruttivi all’anca e al ginocchio. L’immobilità per chi aspetta una protesi fa peggiorare le situazioni cliniche. Lo stop alle operazioni per dare priorità all’emergenza Covid ha determinato il peggioramento di tantissimi quadri clinici, molti pazienti ci hanno detto di aver avuto un tracollo fisico durante il lockdown e siamo preoccupati per quello che potrà accadere con una nuova serrata”, aggiunge Calistri, che collabora anche con il San Giuseppe Hospital di Arezzo, convenzionato con il Ssr della Toscana.
“Oggi le liste d’attesa per una protesi d’anca arrivano, ad esempio da me, anche fino a 10 mesi – avverte Calistri – il Nord Italia assorbe la maggior parte degli interventi e proprio lì da febbraio c’è stato uno stop o comunque solo una lenta ripresa da giugno. Una situazione difficile e c’è una necessità di assorbire i pazienti in lista, i grandi centri negli ospedali pubblici ora si stanno occupando soprattutto di Sars-CoV-2”.
Secondo Calisti la pandemia ha portato con sé anche un problema psicologico. “Oggi il paziente, magari più anziano, è preoccupato se deve pensare ad una operazione all’anca: teme il coronavirus e ha paura. Ma se non torna a camminare peggiorano altre condizioni magari già un po’ critiche. Va ricordato che oggi ci sono protocolli di sicurezza molto severi per le sale chirurgiche, con tamponi in entrata a tutti, pazienti e operatori sanitari, e il sierologico per coprire il periodo finestra che si può creare nei giorni di degenza”.