“Se il virus è mutato, una cosa è certa: questa mutazione conviene al virus. Quale sia però questa convenienza non è facile capirlo. Lo scrive il virologo Roberto Burioni, dell’università San Raffaele – Vita salute di Milano, in un lungo post su ‘Medical Facts’, commentando uno studio pubblicato su ‘Cell’, che descrive come “la versione ‘originale’ del coronavirus sia stata praticamente soppiantata da una versione mutata, che in un’importantissima proteina (quella che si aggancia alle cellule umane e permette al virus di entrare) ha una piccola differenza – spiega Burioni – rispetto al virus ‘originale’ tanto da averlo soppiantato. Il virus mutato (chiamato G614) è apparso e si è diffuso da subito in Europa (nella seconda metà di febbraio) e ben presto ha preso il sopravvento, tanto da diventare di gran lunga la forma dominante a livello mondiale”.
Decodificare questa mutazione non è semplice. “I dati che abbiamo in mano finora – prosegue il virologo – sembrano indicare che questo virus raggiunge quantità maggiori nell’apparato respiratorio dei pazienti, che quindi potrebbero essere più contagiosi. Questo potrebbe spiegare, quanto meno in parte, la disfatta della versione originale e il trionfo della versione mutata. Non sembrano, invece, esserci correlazioni con la gravità del quadro clinico”.
“In Italia la variante mutata ha soppiantato quella originale, già dal primo marzo, ovvero nella fase iniziale dell’epidemia. Per fare un esempio, il primo paziente di Codogno già presentava questa variante che è diventata subito predominante nel nostro Paese. Tale variante – sottolinea Burioni – è ancora quella maggiormente presente qui da noi in questo momento”.
“Ma la cosa, vi ripeto, è estremamente complicata. Possono entrare in gioco molte variabili e per ora l’unica cosa che possiamo affermare con certezza è che questa forma mutata virale ha sicuramente preso il sopravvento e per certo conferisce al virus un vantaggio non indifferente dal punto di vista della diffusione. Quale sia questo vantaggio, purtroppo, non è ancora chiaro nello specifico”, ribadisce.
Due le conclusioni che si possono trarre. “La prima – elenca il virologo – è che il momento in cui un virus si adatta a una nuova specie è caratterizzato da una grande instabilità: può mutare in nuove forme che possono velocemente cambiare le caratteristiche dell’infezione. Dobbiamo essere pronti a questa eventualità – ammonisce – e tenere alta la guardia”.
La seconda conclusione è che “in un mondo che esalta la perfezione, i virus invece sbagliano, sbagliano sempre. Ma siccome la natura seleziona per loro lo sbaglio più conveniente, alla fine fanno (quasi) sempre la cosa giusta. È facile giocare con successo al Superenalotto mettendo cifre a caso se qualcuno butta via le schedine dove abbiamo scritto i numeri sbagliati. Alla fine si vince comunque sempre”.
Burioni esorta dunque a “monitorare la situazione e capire questi trucchi. Solo in questo modo, continuando a monitorare e limitare la diffusione del virus, a studiarlo per comprenderne i meccanismi e a gestirne le conseguenze cliniche potremo riuscire a farlo sparire dalla faccia della Terra. La messa a punto di un vaccino faciliterà decisamente le cose. Com’è successo per il vaiolo, come sta per succedere per la poliomielite, come potrebbe presto succedere per il morbillo. Alla faccia delle mutazioni”.