(Adnkronos) – Secondo l’Aifa 100mila italiani positivi al Covid negli ultimi due anni sono stati sottoposti alla terapia antivirale remdesivir. “Di questi, da marzo 2020 ad oggi, al Sant’Orsola ne abbiamo trattati 1.538. All’inizio somministravamo il farmaco nei pazienti con insufficienza respiratoria, verosimilmente troppo tardi per cui era difficile coglierne appieno l’efficacia. Con il tempo, però, abbiamo optato per un suo impiego nelle fasi sempre più precoci della malattia fino ad arrivare, dallo scorso gennaio, ad un trattamento short – solo 3 giorni – nei pazienti con forme ‘mild’, ovvero lievi, con lo scopo di non far progredire la malattia ed evitare ai pazienti il ricovero ospedaliero. Obiettivo raggiunto”. Così Pierluigi Viale, direttore del Dipartimento Malattie infettive del Sant’Orsola di Bologna, a margine di Icar2022 (Italian conference on Aids and antiviral research) la cui 14esima edizione si chiude oggi a Bergamo.  

“Passata la prima fase di grande allarme della malattia oggi ci confrontiamo con una variante meno aggressiva che impatta su una popolazione di vaccinati – ricorda Viale, che in occasione di Icar 2022 ha aperto il Simposio dedicato all’evoluzione del paziente e della malattia dall’inizio della pandemia -. Tuttavia, ancora oggi usiamo molto remdesivir come terapia precoce nei pazienti con malattia moderata-grave, come trattamento pre-ricovero e come cura per pazienti ospedalizzati, in particolare soggetti immunodepressi”.  

Dopo oltre due anni di emergenza sanitaria, “l’antivirale funziona” aggiunge l’infettivologo “come terapia precoce nei pazienti con malattia moderata così come nei soggetti con forme lievi e nei pazienti paucisintomatici ma “a rischio” di evolvere verso la malattia grave, tale da rendere prudente il ricovero in ospedale. Quindi il remdesivir oggi ci aiuta non solo per prevenire l’ospedalizzazione ma, con una visione più ampia, per prevenire l’evoluzione della malattia”.  

Il remdesivir è un farmaco che si somministra endovena, per questo “organizzare la gestione ambulatoriale non è stato facile” ammette Viale, che aggiunge: “Tuttavia tutti i centri sono stati capaci di poter garantire l’accesso alla terapia ai pazienti entro i 3 giorni dalla comparsa dei primi sintomi”. Secondo l’esperto affinché il trattamento abbia successo resta centrale la figura del medico di Medicina generale. “Ha un ruolo chiave nella gestione dei farmaci antivirali – spiega Viale -. Oggi abbiamo a disposizione quattro potenti armi: due antivirali orali e due somministrabili per via sistemica, tra questi ultimi c’è il remdesivir”.  

“L’accesso ai farmaci somministrabili per bocca – prosegue – dovrebbe diventare sempre più nelle mani dei medici di famiglia, opportunamente supportati dagli specialisti. Per quanto riguarda l’antivirale remdesivir che, invece, è un farmaco strettamente legato ad una struttura assistenziale, il ruolo del medico di Medicina generale non è quello di prescrittore ma è comunque fondamentale perché deve individuare il paziente idoneo per questo tipo di trattamento e segnalarlo alla struttura ospedaliera che effettua la terapia. Il medico di famiglia di fatto è una sentinella che vede prima degli altri una situazione che per gravità clinica o per impatto dei fattori di rischio rende prudenziale utilizzare questo antivirale rispetto ad un’altra terapia”.  

Infine, sull’evoluzione del Covid. “All’inizio le persone morivano a causa dell’infezione da SarS-CoV2 – sottolinea – poi con l’avvento di varianti meno aggressive e con la straordinaria campagna di vaccinazione. oggi il Covid è una malattia che impatta maggiormente sulla morbosità e sulla mortalità indiretta. La maggior parte dei pazienti, oggi, non ha una malattia grave ma vede il percorso terapeutico delle proprie patologie interrotto o rallentato a causa della pandemia”. Dopo la fase emergenziale “ora dobbiamo riorganizzarci per fare in modo che il Covid non continui a impattare negativamente sull’operatività degli ospedali, e non solo. Rimane un problema di sanità pubblica drammatico, ma da malattia che causava decessi oggi è una patologia che genera morti indirette: si allungano i tempi di attesa della chirurgia oncologica, si allungano i tempi di attesa per l’accesso alle cure negli ospedali. Risultato? I pazienti che contraggono la malattia hanno davanti un lungo percorso di cura e non possono lavorare, con un risvolto negativo sulla produttività del nostro Paese. Questo è il Covid nel 2022”, conclude.