“Non è assolutamente escluso che il via libera Ue al vaccino anti-Covid di AstraZeneca possa arrivare entro la fine di gennaio. L’azienda ha presentato ieri all’Ema i dati” a supporto dalla richiesta di autorizzazione condizionata all’immissione in commercio, quindi “se i dati presentati si riveleranno robusti, omogenei e di facile interpretazione, l’Agenzia potrà esprimersi entro una ventina di giorni: dai 15 ai 30 giorni lavorativi, se come immagino non ha cambiato il suo modus operandi”. Lo spiega all’Adnkronos Salute Guido Rasi, ex direttore esecutivo dell’ente regolatorio europeo, docente di Microbiologia all’università di Roma Tor Vergata.
In merito al freno ‘tirato’ nei giorni scorsi dal vicedirettore esecutivo dell’Ema Noel Wathion, che al quotidiano belga ‘Het Nieuwsblad’ ha dichiarato che molto probabilmente l’Agenzia non sarà in grado di approvare a gennaio il vaccino sviluppato da università di Oxford e Irbm di Pomezia, e prodotto da AstraZeneca, Rasi ritiene “non un caso” che il 29 dicembre il funzionario abbia fatto un’affermazione tanto perentoria chiedendo nuovi dati, e il giorno successivo l’azienda li abbia presentati. Ora le informazioni ci sono e “mi aspetto che, dopo averle esaminate, l’Ema in settimana ci fornisca un cronoprogramma – prevede l’ex numero uno dell’Agenzia – che ci dica cioè quanto tempo le ci vorrà per esprimersi”.
Il problema nato attorno al vaccino AstraZeneca, ricorda Rasi sulla base di quanto “pubblicamente noto”, è stata la “disomogeneità” di alcuni dati relativi in particolare al dosaggio da utilizzare per ottenere un’efficacia ottimale (una dose e mezza oppure due), all’intervallo di tempo “molto variabile (4-12 settimane)” fra la prima e la seconda dose, e alle situazioni epidemiche “eterogenee” in cui il prodotto è stato testato. Ma se le informazioni presentate ieri supereranno queste criticità, “non è assolutamente escluso” che la tempistica di valutazione sia analoga a quella dei vaccini Pfizer/BioNTech e Moderna: “Una ventina di giorni”, ribadisce l’ex direttore.
Sul via libera già concesso al vaccino AstraZeneca dall’Agenzia regolatoria britannica Mhra, per Rasi “sarebbe bene emergesse di nuovo la differenza tra Uk e Ue” a livello regolatorio. La principale è che, “mentre il Regno Unito deve approvare la produzione di una serie di lotti per un singolo Stato, l’Ema deve farlo per tutti gli Stati, anche per quelli che delegano completamente alle agenzie centrali. E’ un altro lavoro”, tiene a precisare.
L’accelerazione Uk, osserva inoltre l’ex numero uno dell’Agenzia europea del farmaco, si è probabilmente basata anche “sullo stato ‘acuto’ dell’epidemia di Covid in Gran Bretagna, dove per un paio di giorni si sono registrati 50mila casi quotidiani”. Un quadro in cui, anche prendendo per buona la percentuale più bassa di efficacia dimostrata dal vaccino AstraZeneca negli studi clinici (intorno al 60% invece che intorno al 90%), il Paese ha probabilmente ‘fretta’ di mettere in sicurezza almeno determinate categorie di popolazione. Presumibilmente la fascia ‘attiva’, considerando che il prodotto in questione “funziona molto bene in una popolazione relativamente giovane”.
Insomma, “piuttosto che mettersi a fare strane comparazioni con il Regno Unito”, secondo Rasi “l’Italia dovrebbe sfruttare i prossimi 2 mesi per tarare una strategia vaccinale” mirata su gruppi specifici. L’esperto si attende infatti che “per marzo-aprile siano disponibili almeno altri due vaccini, verosimilmente quelli di J&J e AstraZeneca”. E “se ci saranno in circolazione 4-5 vaccini di cui due al 95% di efficacia (un colpo di fortuna insperato) e gli altri con caratteristiche diverse, servirà un aggiustamento strategico”. Bisognerà “fare una modellistica, a quel punto. Anche per il sistema sanitario italiano sarà fondamentale non vaccinare tutti a caso, ma iniziare a pensare ‘quale vaccino do a chi'”.
Rasi appare comunque ottimista sul buon esito della campagna vaccinale tricolore, ancor più dopo il chiarimento arrivato oggi sui numeri delle dosi disponibili dal presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli: “Disporre di 62 milioni di dosi” Pfizer e Moderna “nella prima parte del 2021 – osserva – significa poter vaccinare 31 milioni di persone, cioè il 50% della popolazione. E anche togliendo quella quota del 7-8% in cui magari il vaccino non funziona, vuol dire comunque che 23 milioni di italiani, un terzo di tutta la popolazione, sono protetti” da Sars-CoV-2. “Se accadrà entro marzo, mi sembrerà un sogno”, conclude l’ex direttore esecutivo Ema.