Procede a tappe serrate la ricerca sui super anticorpi ‘made in Italy’ contro Covid-19. “Stiamo già producendo gli anticorpi monoclonali per le prove cliniche e per la somministrazione ai pazienti. Vorremmo iniziare lo studio sull’uomo prima di metà dicembre, per arrivare in primavera all’utilizzo di questi anticorpi”. A spiegarlo all’Adnkronos Salute è il celebre scienziato Rino Rappuoli, ‘padre’ di tanti vaccini fra cui quello contro il meningococco B, chief scientist di Gsk Vaccines a Siena e professore di Vaccines Research presso l’Imperial College di Londra, coordinatore del Monoclonal Antibody Discovery (Mad) Lab di Fondazione Toscana Life Sciences, impegnato nello sviluppo del super anticorpo contro Sars-Cov-2.
“In questo momento stiamo disegnando le prove cliniche e i protocolli in collaborazione con lo Spallanzani di Roma”, precisa lo scienziato, ricordando che la ricerca toscana ha selezionato nei mesi scorsi, a partire dal sangue di pazienti convalescenti o guariti da Covid, una ‘rosa’ di 3 candidati più promettenti, tra cui uno (MAD0004J08) che si è dimostrato il più potente contro il virus. Dopo l’arruolamento dei pazienti “in un mese-un mese e mezzo contiamo di avere i risultati in base ai quali poter chiedere l’autorizzazione al commercio. E la nostra idea è quella di arrivare a poter utilizzare” questa arma anti-Covid “in primavera”.
La ricerca sugli anticorpi ha tempi più rapidi rispetto a quella sui vaccini anche perché si tratta di prodotti già ampiamente impiegati in terapia tumorale e approvati da tutte le agenzie regolatorie. Recentemente gli anticorpi monoclonali sono stati usati anche per le malattie infettive e nel caso dell’infezione da Ebola hanno rappresentato la prima e unica soluzione per terapia e prevenzione. Ma cosa spinge l’ideatore di tanti vaccini a scommettere su questa strategia? “Gli anticorpi monoclonali – assicura – saranno parte della soluzione: insieme ai vaccini ci permetteranno di mettere a tacere la pandemia”.
Si tratta di un’arma a due lame: “Da una parte gli anticorpi monoclonali sono una terapia che permette di guarire dal virus, dall’altra possono essere dati per prevenire l’infezione. Se si somministrano a una persona sana, questa è protetta per 6 mesi. Il vaccino invece dà una protezione prolungata, ma tra la prima dose e il richiamo la protezione scatta dopo 45 giorni. Nel frattempo – spiega Rappuoli – si potrebbe somministrare l’anticorpo per proteggere il paziente, un po’ come si faceva con le gammaglobuline antitetaniche, che si davano dopo una ferita per proteggere dal tetano nel periodo ‘finestra’ prima del vaccino. Insomma vaccini e anticorpi sono armi complementari”, dice l’esperto.
Numerosi vaccini sono in sperimentazione “su decine di migliaia di persone, dunque – assicura – avremo un database importante relativo a sicurezza ed efficacia. Certo, occorre essere cauti e attendere i risultati finali della fase 3. Questo è un virus nuovo è c’è paura che possa manifestarsi un effetto analogo a quello registrato per il vaccino della Dengue: se gli anticorpi prodotti non sono affini, potrebbero creare problemi. Insomma, si sta andando avanti velocemente ma occorre cautela. Fra i più avanzati poi – aggiunge – ci sono 3 tipologie di vaccini, uno a vettore virale (Oxford), uno a Rna (Moderna) e uno con proteine e adiuvanti. Solo l’ultimo sfrutta un meccanismo noto, gli altri due finora sono stati usati solo su prove cliniche e c’è il rischio che, quando si passa a numeri più ampi, emergano effetti che non si erano visti in precedenza”. Ecco perché, secondo Rappuoli, occorre avere pazienza e attendere i tempi (seppur accelerati al massimo) della ricerca.
Se i vaccini allo studio sono ormai centinaia, “ci sono almeno 5-6 progetti avanzati nel mondo sugli anticorpi monoclonali contro Covid-19. E sono molto orgoglioso che uno di questi sia frutto della ricerca fatta in Italia – confida Rappuoli – Se inoltre gli altri anticorpi sperimentali si somministrano per endovena, il nostro è davvero molto potente e non ha bisogno di questa via: la somministrazione sarà intramuscolo”, e dunque più semplice, anticipa lo scienziato. Anche se la posologia sarà stabilita proprio attraverso le prove cliniche ormai alle porte.
Ma ha senso che ci siano nel mondo tanti gruppi impegnati nella ricerca e sviluppo di anticorpi contro Covid-19? “Ha molto senso: la produzione è complessa – assicura Rappuoli – e fare un milione di dosi di anticorpi è davvero impegnativo. Più ce ne sono, più saremo tranquilli”.
di Margherita Lopes