(Adnkronos) – Oggi i pazienti con linfoma mantellare “hanno delle possibilità di sopravvivenza migliori rispetto a 10 anni fa grazie a numerosi studi, tra cui lo studio europeo Triangle, il cui obiettivo principale è stato quello di verificare se l’aggiunta di ibrutinib – farmaco antitumorale inibitore della tirosina chinasi di Bruton (Btk) – fosse in grado di migliorare le prospettive dei trattamenti dei pazienti under65 affetti da questo tumore raro”. Così all’Adnkronos Salute Marco Ladetto, professore associato dell’Università Piemonte Orientale e direttore della Struttura complessa di Ematologia dell’ospedale SS Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria, commentando i risultati dello studio Triangle, presentati al recente congresso annuale dell’American Society of Hematology (Ash) 2022.
Obiettivo dello studio: valutare l’efficacia e sicurezza di ibrutinib in combinazione con il trattamento standard di prima linea (immunochemioterapia seguita da trapianto autologo di cellule staminali e mantenimento con rituximab) o come sostituto del trapianto autologo di cellule staminali nei pazienti più giovani con linfoma mantellare. Il tumore raro del sangue colpisce in età media e avanzata, in particolare gli uomini e di solito ha un decorso aggressivo. Dalla patologia non si guarisce anche se alcuni pazienti ottengono prolungate risposte dopo la prima linea di terapia. I soggetti in cui la malattia ritorna dopo il primo ciclo di trattamento o che non rispondono hanno un andamento spesso difficile e nonostante i recenti progressi la prognosi per una significativa proporzione di pazienti è sfavorevole nell’arco di mesi o anni.
“Si è studiato il trattamento standard (chemioterapia, anticorpi monocoplonali e rituximab) – sottolinea l’ematologo – ed è stato confrontato con un approccio con il quale si andava a potenziare questa terapia aggiungendo ibrutinib allo schema standard e un approccio in cui si aggiungeva ibrutinib ma si toglieva il trapianto autologo, o autotrapianto di cellule staminali”. “Questi tre bracci dello studio – fa notare Ladetto – hanno consentito di avere una lettura molto attenta e chiara del quadro e si è visto che l’aggiunta di ibrutinib è sicuramente capace di migliorare notevolmente sia la risposta completa sia la progression-free survival di questi pazienti. Al momento il braccio contenente trapianto potenziato con ibrutinib non sembra superiore al braccio senza auto-trapianto: non è sufficiente il follow-up che abbiamo a disposizione per essere certi in modo definitivo di questo dato ma sicuramente lo studio dimostra che l’aggiunta dell’ibrutinib nella prima linea del linfoma mantellare è sicuramente capace di offrire un importante vantaggio a questi pazienti”.
La malattia si sviluppa tipicamente dai linfonodi, ma può diffondersi ad altri tessuti, quali midollo osseo, fegato e milza. Rappresenta il 2-10% dei linfomi e la prevalenza stimata è circa 1/25.000. Colpisce gli adulti di mezza età e più spesso il sesso maschile (rapporto M/F di 4:1). È un linfoma definito aggressivo, infatti alla diagnosi la maggior parte dei pazienti presenta la forma disseminata della malattia, caratterizzata da linfodenopatia diffusa (90% dei casi), disturbi gastrointestinali nel 60% dei casi e coinvolgimento del midollo osseo nel 55-80% dei casi. I primi segni/sintomi della malattia possono essere febbre e compromissione delle condizioni generali (fatica, anoressia e calo ponderale).
Fra le strategie terapeutiche ci sono il trapianto di cellule staminali autologhe, soprattutto nei pazienti giovani, la chemio-immunoterapia e più recentemente le terapie target e farmaci biologici. “Questo tumore non presenta campanelli di allarme specifici – sottolinea Ladetto – non a caso tutti i linfomi sono definiti patologie subdole: questo in particolare si manifesta con ingrossamento di alcune ghiandole al collo, all’inguine e nella zona delle ascelle, altre volte invece compare con manifestazioni completamente diverse”.
Nella pratica clinica l’applicazione dello studio Triangle – che finora ha coinvolto “oltre 10 Paesi e ha visto l’Italia tra i principali protagonisti come seconda nazione arruolatrice” , secondo l’esperto “consentirà, attraverso una serie di passaggi regolatori, di rendere disponibile ibrutinib per questa categoria di pazienti”. “Non sappiamo ancora se ci permetterà di eliminare il trapianto autologo dalle terapie, e tutto quello che ne consegue per i pazienti (complicanze legate al ricovero, aplasia, diversi aspetti di tossicità) ma sicuramente sappiamo che il futuro sarà rappresentato dal poter passare ibrutinib non solo come terapia di seconda e terza linea dei paziente con linfoma mantellare ma portarlo effettivamente in prima linea di terapia”, conclude.