“In Italia, con il lockdown, 3 milioni di visite cardiologiche non sono state fatte sui 18 milioni del totale previsto. Molti pazienti, quindi, sono stati poco seguiti e tanti hanno preferito rimanere a casa anche con situazioni che avrebbero indicato un ricovero. I pazienti con infarto che non sono stati curati durante l’emergenza, diventeranno in pazienti scompensati. Dobbiamo aspettarci, dunque, un aumento di casi di scompenso cardiaco per il futuro”. A lanciare l’allarme Ciro Indolfi, direttore dell’unità operativa di cardiologia-emodinamica-Utic dell’università Magna Graecia di Catanzaro e presidente della Società italiana di cardiologia (Sic) intervenuto oggi al webinar per la Giornata mondiale del cuore, dedicato allo scompenso cardiaco e al lancio della campagna di informazione “Il cuore non può aspettare”, promossa da Novartis.
Per Indolfi, quindi, “c’è il rischio che, alla fine dei conti, la sanità bloccata dal virus possa provocare danni maggiori del cononavirus stesso. La sanità – ha ricordato – è stata bloccata non solo, come era comprensibile, al Nord ma, sorprendentemente, anche nelle Regioni del Sud. Come abbiamo avuto modo di rilevare come Società italiana di cardiologia, durante il lockdown, in tutta Italia, si sono drasticamente ridotti i ricoveri per scompenso cardiaco, anomalie del ritmo cardiaco e disfunzione di pacemaker e defibrillatori. Un pericoloso ritardo che ha comportato, in generale per tutte le patologie cardio-vascolari, anche un aumento della mortalità”.
Una situazione confermata anche da Domenico Gabrielli, direttore dell’Unità operativa di cardiologia dell’ospedale di Fermo e presidente Anmco “noi clinici – ha spiegato – abbiamo registrato due problematiche differenti. La prima ha riguardato le attività di monitoraggio dei pazienti, programmate e non urgenti, saltate perché molti reparti sono stati chiusi. La seconda è stata relativa al calo fino al 50% degli accessi in pronto soccorso per tutti i pazienti con patologie cardio-vascolari che, proprio a causa del ritardo con il quale si sono presentati nelle strutture sanitarie, ha comportato un peggioramento netto delle loro condizioni. Per questo stimiamo, nei prossimi anni, un aumento dei casi di scompenso cardiaco legati ai danni da infarto nel periodo Covid. In condizioni di normalità, invece, arrivando in tempo, ciò non accade”.
L’emergenza Covid, con le sue drammatiche conseguenze anche sulle altre patologie, però, hanno concordato gli esperti riuniti per il webinar, ha insegnato molte cose. E lascerà in eredità, se si saprà cogliere l’occasione, un’organizzazione più pronta, in particolare per lo sviluppo della telemedicina che permette di non lasciare solo il paziente.
Per Salvatore Di Somma, cardiologo Medicina interna e di emergenza dell’Università Sapienza Roma e direttore del comitato scientifico Aisc (Associazione italiana scompensati cardiaci), “l’emergenza Covid è stata anche un’opportunità, seppure la parola stona con la drammaticità dell’emergenza. Si è reso necessario, infatti, portare il monitoraggio al domicilio del paziente e sono stati sviluppate iniziative utili”.
“All’università Sapienza di Roma, ad esempio, abbiamo sperimentato – ha aggiunto Di Somma – un progetto che ci ha consentito di tenere monitorati il 90% dei pazienti. E solo il 10%, che quindi risultava molto selezionato, è stato inviato al pronto soccorso. La Regione Lazio ha anche istituito ufficialmente i piani terapeutici in telemedicina. Penso che possiamo cogliere l’opportunita di gestire in sicurezza i pazienti con scompenso”.
In un periodo di emergenza sanitaria come quello che stiamo vivendo, ha aggiunto Dario Manfellotto, primario della Unità operativa complessa di Medicina Interna, direttore del Dipartimento della discipline mediche dell’ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina di Roma e presidente Fadoi “è fondamentale l’impegno di tutti per definire percorsi di cura facilitati in cui medici di famiglia, specialisti territoriali e ospedalieri facciano squadra, sfruttando anche il potenziale delle tecnologie digitali”.
“Molti pazienti – ha ricordato Manfellotto – sono ormai cronicamente fragili e vanno incontro a frequenti riacutizzazioni di una o più delle patologie da cui sono affetti, proprio come lo scompenso cardiaco, che può portare a continue ospedalizzazioni. Proprio per la loro complessità, gli scompensati vengono sovente ricoverati nei reparti di medicina interna, dove arriva circa il 50% di questi pazienti, mentre il 30% arriva alle cardiologie e la rimanente quota viene ricoverata nelle geriatrie”.
Ma una buona gestione dello scompenso cardiaco “deve necessariamente iniziare con la sua prevenzione”, ha precisato Damiano Parretti, medico di medicina generale e responsabile nazionale area cardiovascolare Simg. “Noi medici di famiglia – ha concluso – non possiamo prescindere dal monitoraggio attivo dei pazienti, sia asintomatici con fattori di rischio, sia diagnosticati, anche con il costante controllo dell’aderenza alle terapie. Inoltre, soprattutto in questa fase di emergenza sanitaria, una buona gestione si ottiene, anche grazie all’ottimizzazione della terapia e alla strategia vaccinale, entrambi fattori che portano a un minor rischio di ospedalizzazione e quindi ad una minore esposizione dei pazienti a contrare malattie nosocomiali”.