“Non volevo fare un film politico. Il libro è ambientato nel 2011. Non c’entra l’America di Trump. Racconto storie di persone. Storie che i miei parenti cinesi possono vedere e capire…”. Parla così, collegata con il Lido via Zoom insieme alla protagonista Frances McDormand, la regista Chloé Zhoe, cineasta cinese trapiantata negli Stati Uniti, che presenta nell’ultimo giorno del concorso della Mostra del cinema di Venezia l’applauditissimo e commovente ‘Nomadland’, da molti indicato come il film in grado di sparigliare il palmares, candidandosi al Leone d’Oro. Nel film, tratto dall’omonimo libro di Jessica Bruder, Fern, il personaggio interpretato da Frances McDormand, diventa una ‘nomade’, dopo aver visto morire la città del Nevada rurale dove viveva, a causa della chiusura dell’unica fabbrica intorno a cui si era sviluppata. La donna, che nel frattempo ha perso anche il marito, carica poche delle sue cose su un furgone adattato a ‘casa viaggiante’ e si mette sulla strada, cercando lavori stagionali (tra Amazon e fast food) e incontrando altri nomadi moderni che si muovono alla ricerca di una vita al di fuori della società convenzionale.
“È stata Frances – confessa la regista – la prima a innamorarsi del libro di Jessica Bruder. L’ha opzionato e poi me l’ha proposto. Per lavorarci sopra, ci siamo chiuse nella nostra bolla e non abbiamo più pensato al mondo esterno. Io voglio innamorarmi della mia storia e dei miei personaggi. Voglio mettermi al loro servizio. Imparare da loro”, dice.
Per lavorare al film la regista e la sua protagonista si sono trasformate a loro volta in nomadi. “Per 4 mesi abbiamo girato nel deserto arrivando poi fino al mare. Vivevamo ognuna nella sua roulotte. La mia si chiamava Akira, come il mio manga preferito… Quando si gira un film come questo bisogna creare un’ecosistema. Abbiamo cercato di introdurci nelle comunità di queste persone nomadi e abbiamo ascoltato le loro storie”, rivela Chloé Zhao che ha voluto nel film dei veri nomadi – Linda May, Swankie e Bob Wells – che fanno da guide e compagni a Fern nel corso della sua ricerca attraverso i vasti paesaggi dell’Ovest americano. “La natura è per me un tema fondamentale. Sono convinta che i paesaggi trasmettano dei messaggi. Per questo ho scelto la musica di Ludovico Einaudi – dice la regista – mi ha molto colpito il video in cui suona tra i ghiacci dell’Artico”.
Frances McDormand racconta che “la cosa più importante” che ha imparato durante il film “è ascoltare e non parlare”: “Si trattava di ascoltare le storie delle persone nomadi, non la mia”. Il set è stato un’esperienza totalmente immersiva: “Eravamo un team di 25 persone – racconta l’attrice due volte premio Oscar – abbiamo viaggiato per 5 mesi in 7 Stati e siamo diventati un’entità unica. E vivendo nelle comunità nomadi, spesso ci siamo ritrovati a pensare come sarebbe stato essere al loro posto”. Una comunità che l’attrice ha molto apprezzato: “Amo il loro essere comunità, avere bisogno uno dell’altro. Anche le storie d’amore tra loro non sono tradizionali. Ma anticonvenzionali e vere come possono esserlo quello tra due sessantenni”, dice riferendosi all’incontro, dall’esito non scontato, che la stessa Fern fa con un coetaneo errante.