“Mi è venuta voglia di fare una mandrakata per tutti loro, perché vivano qui dentro al meglio”. Così un commosso Gigi Proietti, il grande attore romano scomparso stamane, commentò la calorosa accoglienza riservatagli dai detenuti della casa circondariale di Rebibbia il 5 gennaio 2015, quando fu ospite d’onore del pranzo natalizio organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Non era la prima volta che l’attore entrava in un carcere: qualche anno prima aveva preso parte a un evento a Regina Coeli e nel 2011 prestato il suo volto al calendario della Polizia Penitenziaria.
A raccontare l’episodio a Gnewsonline, il quotidiano web del ministero della Giustizia, è l’ispettore di Polizia penitenziaria Luigi Giannelli, che accompagnò l’attore e sua moglie Sagitta durante la visita nel carcere romano. “I ragazzi della Comunità di Sant’Egidio per il tradizionale pranzo organizzato durante le festività natalizie avevano contattato vari personaggi dello spettacolo che tardavano a dare la loro disponibilità. Proietti invece accettò subito con entusiasmo. Arrivò molto prima del pranzo, alle 10.30, e volle vedere alcuni ambienti dell’Istituto. Tra questi, inevitabilmente, la sala teatro che apprezzò molto”. A tavola i detenuti gli chiesero di esibirsi in una delle scene cult di Febbre da Cavallo. “Ma lui – continua Giannelli – si sottrasse con eleganza all’ invito dicendo che quello non era il posto adatto per parlare di truffatori… “.
Sorprese tutti la scelta di Proietti di sedersi vicino ad alcuni detenuti durante il pranzo che, per poter ospitare più di 150 persone, fu organizzato nei locali della falegnameria. Fabio Gui, dell’Osservatorio Salute in carcere, che partecipò in qualità di volontario di Sant’Egidio, così ricorda quei momenti: “Dopo aver ascoltato con attenzione le vicende dei suoi commensali, Proietti ripeté spesso questa frase: ‘La vita è complicata’… Mi colpì particolarmente l’incontro con Marcel, un detenuto anziano originario del Tufello, la borgata romana dove Proietti aveva trascorso infanzia e parte della sua adolescenza. Rievocarono insieme luoghi e fatti, vissuti da punti di vista molto diversi. Disse di essere venuto come romano, ‘uno di voi che ha fatto incontri e poi scelte diverse’… ” .
“In quell’occasione – aggiunge Gui -il grande artista si fermò a parlare a lungo anche con i giovani volontari, esordendo così: ‘Ma che davero non ve pagheno’?… Poi si mostrò colpito e ammirato dalla gratuità del loro impegno”.
Tra i vicini di tavolo dell’attore quel giorno c’era anche Marco, che stava vivendo un momento importante della sua vita: aveva appena pubblicato il suo primo libro, scritto in carcere. Oggi Marco è libero, lavora, è autore di tre libri e vuole ricordare così Proietti: “Gli regalai una copia del libro e fui subito colpito dal suo interesse vero, non di circostanza. Quando lesse le prime righe di uno dei racconti vidi una lacrima scendere dai suoi occhi. Non dimenticherò mai quel momento così autentico che mi ha fatto pensare che i grandi artisti si riconoscono anche dalla sensibilità e dalla capacità di continuare a emozionarsi”.