Oasis: Supersonic e Sing Street, due film musicali di alta qualità
Negli ultimi tempi sono usciti al cinema molti film documentari dedicati alla musica e alle band che hanno fatto sognare intere generazioni di appassionati con il loro travolgente sound, cambiando per sempre la storia della musica mondiale. Tra questi troviamo il recente Michael Bublé – Tour Stop 148 – uscito al cinema il 25 ottobre 2016 – e Michael Jackson – Life, Death and Legacy del 2014. Inoltre, ultimamente è arrivata la notizia di un nuovo progetto legato alla storica band dei Queen, in cui comparirà Rami Malek (Mr. Robot) nei panni di Freddie Mercury. Il film, il cui titolo provvisorio è Bohemian Rhapsody, potrebbe vedere alla regia Bryan Singer. Insomma, di pellicole musicali ne esistono e ne usciranno molte, ma noi vogliamo soffermarci sul documentario musicale di Mat Whitecross, Oasis: Supersonic – che ripercorre la storia del gruppo più famoso degli anni Novanta – e sulla commedia musicale Sing Street di John Carney.
Oasis: Supersonic
Il primo progetto, Oasis: Supersonic (al cinema dal 7 al 9 novembre), racconta di quando nell’agosto del 1996 gli Oasis, una band indie proveniente dalle case popolari di Manchester, furono protagonisti di qualcosa mai visto prima. I loro concerti a Knebworth con un pubblico di 250.000 persone – e altri 2 milioni e mezzo di persone alla ricerca di biglietti – furono gli eventi più seguiti di quel periodo. Per tutti coloro che sono cresciuti negli anni novanta, c'era una sola band che contava. Al culmine del loro successo, infatti, gli Oasis non avevano concorrenti. Questo film parla di loro, di quella band che ha cambiato il suono di una generazione, scrivendo a tutti gli effetti una pagina memorabile di storia della musica.
Iniziamo col dire che, trattandosi di un documentario, i protagonisti della storia sono i membri della storica band composta – con variazioni nel corso degli anni – da Noel Gallagher, Liam Gallagher, Paul Arthurs, Paul McGuigan, Alan McGee, Marcus Russell e Tony McCarroll. Il lato che rende la pellicola particolarmente interessante è che tutte le dichiarazioni presenti non vengono censurate: parolacce, gestacci, litigi raccontano la personalità di ognuno di loro. Non manca anche una certa dose di umorismo e ironia. Inoltre, è una pellicola che bisogna vedere per l’autenticità del racconto, fatto di dichiarazioni e immagini reali, in grado di riportare ogni spettatore nel decennio in questione e rivivere tutte le emozioni provate in passato. Per tutti coloro che hanno vissuto gli anni ’90 sarà un grande occasione per sentirsi nuovamente giovani.
Altro aspetto che sorprende e non poco è la capacità del regista di fornire un quadro chiaro del contesto in cui si svolgono i fatti, dando così un’idea ben definita di come si viveva a quei tempi, di quanto fosse difficile emergere in un ambiente così ostile e di come la vita di una band potesse essere più complessa di quanto ci si aspetterebbe. Infine, se pensate di trovarvi di fronte ad un film basato solo sulla musica, vi sbagliate di grosso. Come molti sapranno, i fratelli Gallagher erano spesso al centro delle notizie di cronaca e questo elemento è stato sottolineato anche nel documentario. Molti sono i temi trattati di grande spessore, tra cui emerge quello della violenza sulle donne e i bambini e i relativi problemi che i soprusi subiti possono comportare, cambiando il carattere di una persona per sempre.
Sing Street
Sing Street (al cinema dal 9 novembre), invece, è ambientato nella Dublino degli anni Ottanta e racconta di Cosmo. Quest’ultimo è costretto, per motivi economici, ad abbandonare la scuola privata che frequentava per iscriversi in un istituto pubblico. Per sfuggire ai problemi familiari e alle difficoltà nel nuovo ambiente scolastico, il ragazzo forma una band, con la speranza, inoltre, di impressionare la ragazza che gli piace.
La pellicola, che trova il suo perno nella straordinaria colonna sonora dei mitici anni ’80 – dai Duran Duran (Rio) ai The Cure (In Between Days), dai Motörhead (Stay Clean) ad Adam Levine (Go Now) – è ricca di momenti esilaranti e impregnati di una sconfinata leggerezza, volti a far passare al pubblico due ore all’insegna dell’emozione. Non mancano certo risvolti capaci di far emergere una riflessione, anche se essi vengono affrontati con molta superficialità. Tra le tematiche presenti nella commedia ve ne sono alcune universali, che possono riguardare la vita quotidiana di ogni uomo: un esempio è sicuramente il conflitto che può venire a crearsi tra figli e genitori, in quanto i primi non si sentono capiti o non vengono ascoltati da questi ultimi. Il tema più importante, però, è senza dubbio quello della ricerca di una propria identità e di conseguenza di quella della loro band.
Nel film, infatti, emerge il continuo cambio di stile dei membri del gruppo, che passano da un vestiario più pop ad uno più rock, sempre alla ricerca di un abbigliamento che gli permetta di distinguersi dagli altri, di sentirsi parte di un qualcosa di unico. A colpire è l’interpretazione dei protagonisti – Ferdia Walsh-Peelo, Aidan Gillen, Maria Doyle Kennedy, Jack Reynor, Lucy Boynton, Kelly Thornton, Ben Carolan, Mark McKenna, Percy Chamburuka, Lydia McGuinness – i quali sono riusciti a trasmettere emozioni grazie alla loro musica (“The Riddle Of The Model”, “Up”, “To Find You”, “Drive It Like You Stole It”, “Girls” e “Brown Shoes”) e alla forza dei loro sguardi, gesti, a dimostrazione che a volte le parole non servono per comunicare.