Myss Keta: “Col nuovo Ep vi porto i club nelle case” 

“In questo Ep ho voluto suoni più clubbing: nel momento in cui nei club non si può più andare, le discoteche sono chiuse, anche le case possono diventare i nostri club, a patto di avere l’acconciatura giusta!” Myss Keta cerca di sdrammatizzare così le nuove disposizioni di contrasto alla pandemia, parlando delle sonorità del suo nuovo Ep ‘Il cielo non è un limite’, in uscita il 13 novembre, che contiene 7 brani inediti inevitabilmente figli di questo momento storico. “È un figliolo nato in questo momento pazzo e risente delle letture di J. G. Ballard e come dei film di David Cronenberg, ma anche delle riflessioni sul nuovo Medioevo digitale di James Bridle (l’autore di ‘Nuova era oscura’, ndr.)”. 

Come l’acqua era al centro del precedente Ep ‘Carpaccio Ghiacciato’, l’aria è al centro di questo nuovo lavoro: “Questa volta ci siamo voluti focalizzare sull’aria, sul cielo. Ma un cielo visto da un palazzo di vetro e acciaio o un cielo visto da un aereo che vola velocissimo. Durante il lockdown abbiamo guardato tutti il cielo dalle finestre, finestre che spalancavano l’interiorità”, spiega Keta, parlando in collegamento Zoom dalla Torre Galfa, edificio iconico di Milano, che è appunto un grattacielo di vetro e acciaio.  

Con modelli di riferimento che vanno da Raffaella Carrà a Miss Kittin e dalle Spice Girl a Loredana Bertè, Myss Keta elegge “madrina spirituale” di questo Ep “Grace Jones”. Anticipato dai due singoli ‘Giovanna Hardcore’ e ‘Due’, l’Ep “contiene sonorità supersperimentali, figlie della house anni ’90 e 2000 ma anche della ghetto house e della elettronica più fredda: è un disco in cui faccio vivere tutti i doppelganger di Myss – dice la rapper regina delle notti milanesi, parlando di sé in terza persona – è un disco senza limiti. Anche nelle lingue: accenno pezzi di brani in tedesco, inglese e persino delle parole in greco antico”.  

Così nella tracklist sfilano, dopo la title-track ‘Il cielo non è un limite’, la Myss Keta di ‘Giovanna Hardcore’, che “arriva dal primo Medioevo a questo secondo Medioevo, si passa dai roghi ai fuochi per scaldarsi nei rave” e quella di ‘Gmbh’, che è una “mistress felina, affilata, tagliente, un po’ più signora”. Poi, in ‘Rider Bitch’ “Myss Keta diventa una rider arrabbiata, anche vocalmente” (“volevo toccare l’argomento dei rider, molto sentito e molto rappresentativo di questa epoca”, spiega l’artista). In ‘Photoshock’, “Myss diventa una modella anni ’90 che si rapporta con una fotocamera ma non solo: è un brano sul rapporto con l’immagine e con l’osservatore. Chi ha il potere tra l’osservato e l’osservatore? Chi vince e chi perde? Nelle mie intenzioni, è brano che parla dei social media”. In ‘Diana’, Myss Keta e Priestess “diventano due moderne dee della caccia, in una Magna Grecia futurista”. Infine, la chiusura volutamente esagerata di ‘Due’, “una canzone assurda, matta, satura, ipercarica, raddoppiata, potenziata, dove trovate una miss sguaiata che non si tiene. È il brano che riassume la nostra visione del mondo contemporaneo: siamo sempre sovrastimolati e sovraeccitati, in preda all’entropia”, dice Keta.  

A chi le chiede cosa progetti per i live post-pandemia, Keta risponde iperbolica: “Ovviamente un tour mondiale negli stadi. Vedremo”, aggiunge poi più seria. Sulla possibilità di un Sanremo in gara, chiarisce subito: “No, non ho presentato nessun brano. Ma magari lo conduco io”, aggiunge ironica, lei che l’anno scorso ha condotto con Nicola Savino ‘L’Altro Festival’ su RaiPlay, sorta di afterhour della kermesse.  

Infine, dopo che anche il New York Times si è interessato a lei perché con la sua maschera che le garantisce da anni l’anonimato ha anticipato involontariamente questo momento di obbligo di mascherine per tutti, Myss Keta non poteva non spiegare come si senta oggi, in maschera tra le maschere. “Non mi sento depotenziata dal fatto che tutti ora indossino le mascherine. Anzi, usandola da molti anni, mi sento privilegiata nel comprendere l’impatto sociale della mascherina”, risponde a chi le chiede se non si senta una tra tanti.  

“All’inizio – aggiunge Myss Keta – quando uscendo di casa vedevo tutte le persone con le mascherine rimanevo stupita anche io. Ma sono felice perché è un presidio di salute. All’inizio di questa pandemia la mascherina ci spaventava. Ora non ci spaventa più, anzi ci rassicura. Non so se questo agli occhi degli altri ha depotenziato la mia mascherina. Secondo me no. Ma mi ha offerto tanti spunti di riflessione: per esempio mi sono resa conto di quanto metto in difficoltà le persone, quando parlo con mascherina e occhiali che rendono indecifrabile ogni espressione del volto”, conclude.  

(di Antonella Nesi)