Inferno di Ron Howard: la nostra recensione del film
Dopo una pausa di circa sette anni, siamo giunti al terzo capitolo della saga del simbolista dei romanzi di Dan Brown, Robert Langdon, ancora una volta interpretato da Tom Hanks sotto la guida di Ron Howard: Inferno.
Dopo aver visto il professore americano alla ricerca del Sacro Graal e poi alle prese con la setta degli Illuminati, nel terzo episodio “Inferno” lo ritroviamo davanti a un problema ancora più grande e che riguarda l’umanità intera: un eccentrico miliardario (che potrebbe benissimo essere trapiantato in un film di James Bond) vuole sfoltire la razza umana, ormai giunta all’esubero in rapporto alle risorse disponibili e quindi rigenerarla, salvandola, a parer suo, dall’inevitabile estinzione.
Il suo piano (e di questo bisogna rendergliene merito) non cerca di creare un giudizio universale fatto in casa diviso per classi sociali, forse più consono alla sua figura di megalomane ma, più grossolanamente, vuole servirsi di un nuovo virus della peste creato in laboratorio. Naturalmente, toccherà al professor Langdon fermarne la diffusione.
Per buona parte del film la vicenda è narrata tramite l’ormai classico procedimento di ricognizione mnemonica (alla “Una notte da leoni” o alla “Bourne identity“, tanto per capirsi) dove il protagonista si risveglia e cerca di intuire dove si trovi, cosa gli sia successo e cosa debba fare per risolvere la situazione. A questo proposito consigliamo di vedere il film, senza visionare il trailer o facendosi suggerire la trama più dettagliatamente. L’effetto estraniamento di Langdon possiamo dire sia la cosa più riuscita della prima parte del film e vale il biglietto. Questo grazie alla solita regia ben fatta di Ron Howard, sia nei dialoghi come durante le azioni e gli inseguimenti. La fotografia è come al solito un suo punto di forza, molto curata e, soprattutto nella prima parte della pellicola, risulta una componente portante in diverse scene.
Gli attori danno vita a personaggi credibili e ineccepibili, per un film che non li spreme ma che avrebbe potuto far emergere alcune loro eventuali lacune tecniche, soprattutto a causa di dialoghi a volte non approfonditi per ragioni di sviluppo della trama. Degna di nota è l’interpretazione di Irrfan Khan (The Millionaire e Vita di Pi) che, smentendo la pronuncia del suo cognome, si conferma uno dei migliori attori in circolazione.
Paradossalmente, lo sviluppo della storia, del quale Dan Brown è maestro e artefice, lascia un po’ perplessi. Vi è una carenza di enigmi da risolvere rispetto ai precedenti episodi ed è un peccato, immaginandosi tutto quello a cui si poteva attingere nell’opera dantesca e come potevano essere sviluppati e posti per le doti di Langdon. Quelli presenti passano velocemente in secondo piano e nel film non lasciano allo spettatore il tempo né di sentire il bisogno della loro rivelazione, né di essere compresi. Se volessimo usare una metafora, è come avere una bellissima attrice e inquadrarle solo le mani.
Una nota positiva per l’Italia, è che Inferno è state girato a Firenze e a Venezia (per le scene a Istanbul hanno usato il green screen). Le città riescono a dare il meglio di loro e sicuramente il film aumenterà, come se ce ne fosse bisogno, il loro fascino sui turisti appassionati alla serie. Una nota negativa per gli italiani è che, come al solito, ne escono un po’ pittoreschi, tra superficialità e faciloneria.
In ogni caso, il film risulta molto godibile e forse migliore del predecessore, riuscendo nella missione proposta di puro intrattenimento cinematografico.