Donatella Finocchiaro veste i panni di una giudice popolare nel Maxiprocesso per la nuova docufiction di Rai1, in onda domani in prime time. Protagonista anche Nino Frassica nel ruolo del presidente della Corte Alfonso Giordano. ‘Io, una giudice popolare al Maxiprocesso’, prodotta dalla Stand by me in collaborazione con Rai Fiction e diretta da Francesco Miccichè è la ricostruzione e il racconto di un episodio cruciale della storia contemporanea: il Maxiprocesso di Palermo raccontato dall’inedito punto di vista di una giurata popolare. La docufiction propone interviste uniche e preziose ai protagonisti dell’epoca: dal pubblico ministero Giuseppe Ayala al presidente della Corte Alfonso Giordano, passando per il giudice a latere Pietro Grasso fino ai membri della giuria popolare Maddalena Cucchiara, Francesca Vitale, Teresa Cerniglia e Mario Lombardo. Il Maxiprocesso tenutosi a Palermo nella seconda metà degli atti Ottanta è una pietra miliare nella lotta contro la mafia. La televisione e il cinema lo hanno raccontato più volte, affascinati dalle personalità dei suoi protagonisti, da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a Tommaso Buscetta .
Nel tv movie Caterina (Donatella Finocchiaro) è una giovane insegnante di Cefalù, soddisfatta della sua vita. È felicemente sposata con Salvatore, un piccolo antiquario e ha un figlio adolescente, Luca, appassionato di calcio. Un giorno la sua tranquilla quotidianità viene interrotta da una convocazione del tribunale di Palermo: è stata sorteggiata come giurata popolare nel Maxiprocesso. “Nel film -spiega la Finocchiaro nel corso della presentazione della docufiction- il maxiprocesso viene visto dal punto di vista di un giudice popolare, di una donna che improvvisamente si trova di fronte a un’enorme responsabilità: giudicare i mafiosi”. “Questa donna che stava a casa col marito con il figlio e faceva l’insegnante -continua l’attrice- si trova improvvisamente davanti a Buscetta e ai mafiosi aggrappati alle gabbie come animali. Queste giudici erano donne normali non eroine -tiene a sottolineare- che però hanno accettato questa enorme responsabilità mettendo a rischio la loro vita. Sono donne che sono state spinte da un senso civico che ogni cittadino dovrebbe avere. Caterina quindi diventa una piccola eroina e come tutti i giudici popolari aveva paura delle ripercussioni che questo incarico potesse avere nella sua vita”.
Per Frassica interpretare Giordano ”è stato facile”, spiega, perché ”è un galantuomo. Quando interpreto invece i ruoli dei mafiosi -racconta- tento sempre di ridicolizzarli e di distruggerli e di farli apparire come stupidi”. ”Il Maxiprocesso di Palermo ha rappresentato il punto di arrivo e, come diceva Giovanni Falcone, il punto di partenza dello Stato contro Cosa Nostra -afferma Maria Pia Ammirati, direttore di Rai Fiction- Rai mantiene il primato delle memorie e dell’impegno civile con questa importante docufiction che è anche una grande narrazione guardata da un nuovo punto di vista. Ricordare e documentare eventi e persone, che fanno parte della storia della Repubblica e costituiscono snodi della democrazia, del vivere civile e del senso di responsabilità, sono un dovere del Servizio Pubblico -continua la Ammirati- che la Rai ha svolto pienamente prima nel registrare il Maxiprocesso e poi, oggi, nel ricostruire con questa straordinaria docufiction quei tempi. Il grande ruolo del Servizio Pubblico è anche questo: non arretrare nell’impegno civile e non lasciare spazio alla rimozione della memoria”.
‘Io, una giudice popolare al Maxiprocesso’ racconta il Maxiprocesso mettendo al centro del racconto una delle giurate popolari che hanno contribuito alle storiche condanne con cui il processo si è concluso. Non un personaggio famoso, dunque, ma una persona comune, che si è trovata catapultata in un evento storico dimostrandosene all’altezza. Caterina, la protagonista, sintetizza nella docufiction il punto di vista delle tre giurate popolari Teresa Cerniglia, Maddalena Cucchiara e Francesca Vitale, che hanno vissuto in prima persona il Maxiprocesso e che si alterneranno nelle interviste ricordando agli spettatori che chiunque è in grado di superare i propri limiti in nome della giustizia. È il racconto di una vicenda drammatica, di alto senso civico, individuale, famigliare, senza mai perdere di vista il dialogo con la Storia. I filmati d’epoca inseriti sono stati forniti dalla Rai (Rai Teche e Rai Sicilia, che ha digitalizzato e conserva l’intero girato del Maxiprocesso); le foto e i titoli dei giornali mostrati fanno parte dell’archivio de ‘L’Ora di Palermo’ e sono stati forniti dalla Biblioteca Regionale Siciliana. Gli innesti fiction e alcune interviste sono state girate dentro l’aula bunker, dove si è tenuta realmente la Camera di Consiglio del processo.
Alcune riprese sono state realizzate nelle stanze di ristoro e in quelle in cui dormirono i giurati in quei 35 giorni. ”Io credo che la storia della Sicilia e del paese si può distinguere in due momenti, prima e dopo il Maxiprocesso -sottolinea Miccichè- Prima la mafia era solo qualcosa di cui si parlava, dopo le cose saranno diverse: si avranno le prove che Cosa nostra esisteva e che era stata responsabile di numerosi ed efferati delitti. ‘Io, una giudice popolare al Maxiprocesso’ -dice ancora il regista- è la ricostruzione e il racconto di un episodio cruciale della nostra storia contemporanea. La vicenda viene raccontata dall’inedito punto di vista dei giudici popolari. Pochi sanno infatti che il Maxiprocesso ha avuto, oltre ai giudici togati e ai pubblici ministeri, ben sedici giudici popolari (6 titolari e 10 supplenti) che hanno seguito un anno e mezzo di udienze e che hanno subito le stesse restrizioni e problematiche dei magistrati coinvolti”.
“Questi giudici -prosegue- erano persone comuni, insegnanti, giornalisti, casalinghe, tutti siciliani, che si sono ritrovati dall’oggi al domani protagonisti della lotta alla mafia e sono riusciti con il loro impegno e la loro dedizione a rappresentare con successo la parte migliore della società siciliana, quella che con il processo voleva liberarsi dalla violenza e dai ricatti di Cosa nostra. Dopo tanti anni di lavoro ormai mi sono convinto che i luoghi hanno un’anima. Ecco perché ritengo che quando è possibile nelle docufiction che realizziamo (personalmente questa è la sesta che realizzo per Rai Fiction) dobbiamo cercare di girare nei posti dove sono realmente avvenute le cose”, conclude Miccichè.