(Adnkronos) – “Mai come in questa fase della pandemia occorre puntare sempre di più sugli anticorpi monoclonali, molto utili in pazienti fragili immunocompromessi perché giocano un ruolo cruciale nel bloccare l’ingresso del virus nelle cellule contribuendo ad aiutare la risposta immunitaria del soggetto infetto, garantendo così una risposta immediata nella lotta a Covid-19. Non solo. Diversi studi dimostrano l’efficacia dei monoclonali in percentuali molto elevate nella riduzione del rischio di ricoveri per forme severe della malattia nei pazienti particolarmente fragili”. Così all’Adnkronos Salute Sergio Lo Caputo, responsabile sperimentazioni di Malattie infettive del Policlinico Università di Foggia, a margine del XXI Congresso nazionale Simit che si è chiuso ieri a Roma.
“Ad oggi – sottolinea lo specialista – tra i pazienti ricoverati negli ospedali per Covid prevalgono i grandi anziani”, quindi gli over 80, pazienti fragili per età e comorbidità (malattie croniche, metaboliche, ematologiche, neoplastiche) o immunocompromessi per trapianti, dialisi, esportazione tumori solidi. Questi pazienti “hanno una risposta alla vaccinazione anti-Covid, inclusa la dose booster, estremamente variabile e con livello di copertura non molto efficace e ridotto nel tempo. In queste circostanze e in altri pazienti, anche più giovani e con varie comorbidità, l’indicazione è quella di usare gli anticorpi monoclonali entro 5 giorni dalla comparsa dei primi sintomi dell’infezione. Ma questo necessita una diagnosi tempestiva e un invio, altrettanto tempestivo, dei pazienti nei centri specialistici per valutare il tipo di trattamento più idoneo, con farmaci antivirali piuttosto che con gli anticorpi monoclonali”.
Nella pratica clinica e nella vita reale, “gli studi ci dicono che la sola sensibilità in vitro dei monoclonali alle diverse varianti non è un indicatore attendibile dell’efficacia di queste molecole – evidenzia Lo Caputo – perché la concentrazione di farmaco raggiunta può essere superiore e quindi annulla questa resistenza alle mutazioni presenti sull’antigene Spike del virus. Questi dati di efficacia clinica degli anticorpi monoclonali continuano ad essere sempre più numerosi, concentrandosi sulle categorie dei pazienti più fragili”.
Gli anticorpi monoclonali “non sostituiscono in questi soggetti a rischio la dose booster di vaccino anti-Covid – precisa l’esperto – ma i medici di medicina generale hanno un ruolo fondamentale nell’individuare precocemente chi ha bisogno di altre cure. I medici di famiglia conoscono bene i loro assistiti, sanno chi rientra nelle categorie dei soggetti fragili, di conseguenza più a rischio. Quindi il consiglio è quello di arrivare ad una diagnosi tempestiva e di inviare nel più breve tempo possibile questa tipologia di pazienti nei centri specialistici”.
Gli anticorpi monoclonali che hanno dimostrato “efficacia clinica comprovata e rilevante sui pazienti più fragili sono due”, ricorda Lo Caputo: “Sotrovimab, che richiede un’unica somministrazione per via endovenosa, e l’associazione di tixagevimab con cilgavimab, che invece richiede due iniezioni intramuscolari ed è utilizzata anche nella prevenzione dell’infezione nei soggetti più esposti”.
L’infettivologo lamenta però il fatto che “negli ospedali, alla riduzione del numero dei pazienti ricoverati per Covid, è seguita anche una riduzione del personale nei reparti di malattie infettive”. In questo modo “è più complesso e difficile organizzare e mettere in piedi le strutture efficienti per il trattamento dei pazienti Covid con farmaci antivirali o con gli anticorpi monoclonali, evitando ricoveri costosi, ma che mettono a repentagli la vita dei pazienti fragili. Ogni centro ha tentato di organizzarsi in maniera autonoma, in base alle richieste del territorio, ma spesso risulta difficile raggiungere in egual misura tutto il territorio nazionale”.