(Adnkronos) – “Dall’epatite C oggi è possibile guarire grazie a terapie innovative di breve durata, al massimo 8 settimane. Da qualche anno abbiamo a disposizione farmaci che, assunti per bocca, sono ben tollerati e a elevatissima efficacia. Basti pensare che oltre il 95% dei pazienti ottengono una guarigione completa, ovvero la scomparsa dell’infezione per il resto della loro vita e con un ciclo di terapia particolarmente breve. Impensabile in passato quando contro il virus Hvc occorrevano terapie della durata di 12-16 e anche di 24 mesi, con approcci molto più tossici, poco tollerati e molto meno efficaci”. Così all’Adnkronos Salute Stefano Bonora, professore associato di Malattie infettive all’Università di Torino, a margine del XXI Congresso nazionale Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali) in corso a Roma.
“La contagiosità dell’epatite C permane – sottolinea l’esperto – perché c’è una grossa fetta di persone che non sono a conoscenza di avere l’infezione, quindi non sanno che possono trasmetterla. Da qui la necessità di tenere alta la guardia. L’attenzione va preservata e va mantenuta, come in passato, a tutte quelle pratiche attraverso cui si può venire a contatto con il sangue di altre persone o con strumenti non ben sterilizzati che sono stati a contatto con il sangue di altre persone. Quindi la trasmissione può avvenire anche attraverso tatuaggi, piercing, cure estetiche, che per questo motivo vanno eseguiti solo in centri che seguano rigorosamente le norme stabilite del caso”.
In merito all’impatto dell’epatite C sulla vita dei pazienti, Bonora non ha dubbi: “Può essere considerevole. Teniamo conto – spiega – del fatto che l’infezione da Hcv può essere asintomatica per moltissimo tempo e in certe persone anche per il resto della loro vita. Il problema è che l’epatite C può portare nel tempo, con una velocità che varia da persona a persona, danni al fegato che si manifestano in ultima analisi con la cirrosi epatica e con la comparsa di tumori epatici che diventano poi delle gravi patologie per il paziente. Inoltre ci sono dei dati che ci indicano come un’infezione cronica, anche se non con sintomi ancora associati, può portare comunque a un peggioramento della qualità di vita del paziente in termine di performance fisica, in termini di piccoli disturbi e deficit neurocognitivi, oltra alla difficoltà di concentrazione e all’astenia”.