(Adnkronos) –
L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha approvato il rimborso dell’associazione di un farmaco immunoncologico (nivolumab) con una terapia mirata (cabozantinib) per il trattamento in prima linea di pazienti adulti con carcinoma a cellule renali avanzato. Lo comunica l’americana Bristol Myers Squibb (Bms), ricordando che ogni anno in Italia sono stimati 13.500 nuovi casi di tumore del rene e che 144.400 persone vivono dopo la diagnosi. La forma più frequente è quella a cellule renali. Ad aprile 2021- spiega l’azienda in una nota – la Commissione europea aveva approvato questo nuovo regime terapeutico, ora disponibile anche in Italia, in base ai risultati dello studio di fase 3 CheckMate -9ER che ha dimostrato la superiore efficacia dell’associazione rispetto a sunitinib per i tre endpoint chiave: la sopravvivenza globale, la sopravvivenza libera da progressione e il tasso di risposta obiettiva. 

“E’ continuo il bisogno di nuove terapie che mostrino un beneficio in diversi sottogruppi di pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato – afferma Giuseppe Procopio, responsabile Oncologia medica genitourinaria Fondazione Irccs Istituto nazionale tumori di Milano – Nel tumore renale la chemioterapia e la radioterapia sono risultate da sempre poco efficaci e il loro utilizzo è scarso. Il trattamento di elezione per la malattia localizzata è rappresentato dalla chirurgia, conservativa quando possibile. Oltre il 50% dei pazienti con malattia in fase precoce guarisce, però il 30% arriva alla diagnosi già in stadio avanzato e in un terzo la malattia può recidivare in forma metastatica dopo l’intervento chirurgico. Storicamente, la sopravvivenza a 5 anni nella malattia avanzata o metastatica non superava il 13%”.  

Nello studio CheckMate -9ER, che ha coinvolto 651 pazienti, “nivolumab in associazione con cabozantinib, un inibitore tirosin-chinasico, a un follow-up mediano di 2 anni ha ridotto il rischio di morte del 30% rispetto a sunitinib – riferisce lo specialista – La sopravvivenza libera da progressione mediana è raddoppiata rispetto ai pazienti che hanno ricevuto solo sunitinib (17 mesi vs 8,3 mesi), così come il tasso di risposta oggettiva (55,7% vs 28,4%). In un’analisi esplorativa, l’associazione è stata correlata a un tasso di controllo della malattia, che includeva risposta completa, risposta parziale e malattia stabile, dell’88,2% rispetto al 69,9% con sunitinib. Va evidenziato anche il buon profilo di tollerabilità di questa terapia di associazione”. 

“Cabozantinib – sottolinea Procopio – crea un microambiente tumorale che rende più efficace l’azione dell’immunoterapia, consentendo un’attività antitumorale sinergica in associazione con nivolumab. I dati di CheckMate -9ER contribuiscono a rafforzare il valore dell’associazione di nivolumab e cabozantinib in prima linea per i pazienti per cui viene scelto il regime costituito dall’immunoterapia con un inibitore di tirosin-chinasi”. 

“Con questa approvazione da parte di Aifa, i pazienti possono accedere a una terapia di associazione nivolumab-cabozantinib che ha dimostrato significativi benefici di sopravvivenza rispetto a sunitinib – dichiara Cosimo Paga, Executive Country Medical Director, Bms – L’immunoncologia riattiva il sistema immunitario e lo rende nuovamente efficace nella sua funzione di sopprimere le cellule neoplastiche a prescindere dalla forma tumorale. Il traguardo odierno si somma al nostro patrimonio di ricerca volto a sviluppare e rendere disponibili nuovi trattamenti per i pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato”. 

“Siamo felicissimi – commenta Tonia Cinquegrana, presidente Associazione nazionale tumore del rene (Anture) – che l’ente regolatorio nazionale abbia finalmente approvato la rimborsabilità di questa nuova opzione terapeutica in prima linea, che si va ad aggiungere a quelle recentemente approvate e che ampliano di molto il panorama delle possibilità di cura per il carcinoma a cellule renali avanzato. Per questi risultati dobbiamo ringraziare la ricerca scientifica, ma anche tutti i pazienti che accettano di partecipare ai trial per se stessi e per gli altri. Sono però ancora numerose le sfide da affrontare per migliorare le prospettive di cura, a cominciare dalla necessità di incrementare le diagnosi precoci. Vi è poi un problema di qualità di vita, durante e dopo le cure, che deve essere sempre garantita. E’ molto importante per noi sapere che i pazienti trattati con l’associazione nivolumab e cabozantinib abbiano riportato, oltre a un prolungamento della sopravvivenza, miglioramenti significativi della loro qualità di vita”.