(Adnkronos) – La possibilità di “manipolare il microbiota intestinale e polmonare per fornire ulteriori trattamenti per le malattie polmonari e in particolare per l’infezione da Sars-CoV-2, nonché per prevenire l’infezione stessa”. A fare il punto per l’Adnkronos Salute su questa frontiera di ricerca è l’immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud-Italia della Fondazione per la medicina personalizzata.
“Sarebbe utile ed importante che il dibattito scientifico intorno alla Covid si allargasse un po’ di più – sottolinea – coinvolgendo anche ambiti di ricerca ingiustamente rimasti agli angoli estremi di una comunicazione sempre più monotematica. C’è un riscontro ampiamente acquisito dalla comunità scientifica – evidenzia lo specialista – di un’alterazione della composizione microbica intestinale, per esempio, nell’asma bronchiale e nelle allergie, nella fibrosi cistica o nei tumori polmonari. E’ come se la mediazione della flora batterica, lungo l’asse intestino-polmone, riuscisse a modulare l’efficacia della risposta immunitaria e, conseguentemente, l’entità dei processi infiammatori non solo locali. Lo stesso ‘cross-talk’ intestino-polmone è stato credibilmente riproposto anche nelle dinamiche patogenetiche della Covid-19, nell’ambito delle quali è stato ipotizzato un ruolo di primo piano per il microbiota intestinale”.
Secondo Minelli, “le infezioni da virus respiratorio possono provocare alterazioni del microbiota intestinale” e, in effetti, “anomalie del microbiota sono state individuate, attraverso esami fecali, nei pazienti dopo l’infezione da Sars-CoV-2, evidenziando una disbiosi intestinale caratterizzata da esaurimento di microbi benefici e abbondante presenza di batteri patogeni detti ‘opportunisti’. In particolare – precisa l’immunologo – la numerosità di Coprobacillus, Clostridium ramosum e Clostridium hathewayi si è notato essere associata alla gravità della Covid-19. Inoltre è stata trovata una correlazione inversa tra l’aumento di Faecalibacterium prausnitzii e la gravità della malattia (a più alte concentrazioni di Faecalibacterium prausnitzii corrisponde una minore gravità della Covid che, invece, risulta essere clinicamente più severa in caso di bassa presenza di Faecalibacterium prausnitzii), e tra le espressioni di Ace2 (il principale recettore di ingresso cellulare Sars-CoV-2) e alcune specie microbiche”.
“C’è anche chi ha identificato nei ceppi Dorea, Streptococcus, Collinsella, Agathobacter, Eubacterium hallii group, Ruminococcus torques group, Fusicatenibacter – elenca Minelli – interessanti biomarcatori diagnostici in grado di segnalare la presenza e la gravità della Covid-19. Tra l’altro, considerando che il microbiota non è solo intestinale, studi recenti hanno collegato una disbiosi delle vie respiratorie ad alterazioni delle risposte immunitarie e allo sviluppo di malattie polmonari”.
Ma è un microbiota malato che favorisce lo sviluppo della malattia da Covid o, tanto per cambiare, è il virus che altera e ammala il microbiota del soggetto infettato? “Non è ancora chiaro oggi – risponde l’immunologo – se sia l’infezione da Sars-CoV-2 a generare disbiosi o se sia la disbiosi a favorire l’infezione virale. Quel che certamente si può affermare è che i batteri intestinali, come già premesso, sono un fattore di grande rilevanza nella regolazione di diversi processi metabolici dell’uomo. Un importante intermediario di queste funzioni è rappresentato, per esempio, dall’acido butirrico, uno degli acidi grassi a catena corta (SCFAs) normalmente prodotti dal microbiota intestinale in equilibrio. Compete all’acido butirrico, tra le altre, la funzione di bloccare l’istone deacetilasi (Hdac), un enzima chiave nelle ‘strategie d’invasione’ del Sars-CoV-2. Dunque, bloccando l’Hdac attraverso l’acido butirrico, un microbiota sano e bilanciato può interferire sulla penetrazione del Sars- Cov-2 nella cellula umana. Cosa che evidentemente non accade nei soggetti che presentino una flora intestinale squilibrata e deprivata delle sue componenti benefiche”.
“Appare chiaro – conclude l’esperto – come, alla luce di tali acquisizioni, non si possano certo trascurare le potenzialità di cura insite nelle strategie di ripristino del microbiota intestinale, finalizzate a riequilibrarlo in maniera specifica e peculiare per ciascun soggetto. Si tratterà di selezionare con cura e competenza pre-biotici e pro-biotici di precisione, escludendo a priori prescrizioni di fermenti lattici sommarie del tipo uno vale l’altro. Tutto questo permetterà di raggiungere sia un’accurata prevenzione da associare alle pratiche vaccinali, che un efficace e convincente supporto terapeutico finalizzato ad attenuare la gravità della malattia Covid-19”.