di Federica Mochi
Sarà ricordata come la ‘Prima’ senz’opera ma con uno spettacolo kolossal, degno del teatro lirico più celebre mondo. Uno spettacolo immaginato per il piccolo schermo, interamente registrato, che ha convinto gli aficionados del Piermarini ma che tutti sperano, per usare le parole del direttore d’orchestra Riccardo Chailly, resti un “unicum” nella storia della lirica italiana.
Alla Scala stasera il sipario si è alzato per ‘A riveder le stelle’, il concerto-evento che ha sostituito, per la prima volta dal Dopoguerra, la tradizionale Prima di Sant’Ambrogio, ripercorrendo in tv, su Rai1, la letteratura operistica dell’800, italiana e non solo. Non un semplice gala ma uno show inedito in tre ore di programma, fortemente voluto dal sovrintendente Dominique Meyer, che non si è lasciato prendere dallo sconforto che nei mesi scorsi si è insidiato anche tra i palchi del Piermarini, con diversi membri del coro contagiati, impedendogli di fatto di allestire la ‘Lucia di Lammermmor’ di Donizetti che avrebbe dovuto inaugurare la stagione scaligera. “La Scala c’è, è in piedi e ha grande voglia di andare avanti, è uno spettacolo che dimostra la volontà di tutti i lavoratori del teatro di andare avanti” ha spiegato Meyer, incontrando i giornalisti alla fine dello spettacolo.
Un racconto musicale sotto la bacchetta di Riccardo Chailly e la regia di Davide Livermore e iniziato con un omaggio alla Milano sola e deserta ma non per questo rassegnata, ripresa di notte con un drone e con il finale della Musa della musica che cammina a piedi nudi fuori dal teatro. Un teatro insolitamente muto, con i palchi spenti, svuotati dal loro pubblico abituale. Niente fiori, assenti le istituzioni. Unica luce a illuminare la sala quella del ledwall del palco. Tra i presenti solo i giornalisti e alcuni membri del cda, unici ‘fortunati’ ammessi, assieme agli operatori, le maschere e qualche fotografo, a seguire la serata all’interno del teatro.
Scala, teatro vuoto e niente fiori per la Prima
Sin dall’apertura della serata l’effetto è stato un po’ disorientante, straniante. Come consuetudine l’orchestra ha eseguito l’inno nazionale con i lavoratori del teatro affacciati dai palchi per cantare l’Inno di Mameli. Sul palcoscenico una parata di stelle, primo tra tutti il tenore Placido Domingo, che dopo aver salutato la stampa a inizio serata ha lasciato il teatro per precipitarsi a San Pietroburgo, dove tra tre giorni ha in programma il ‘Nabucco’ e da dove ha assistito allo spettacolo. “Ho debuttato qui, il 7 dicembre, 51 anni fa, per me questa è la nona ‘Prima – ha affermato Domingo – è stato un onore dividere il palcoscenico con i colleghi ma abbiamo bisogno del pubblico che spero possa tornare presto qui con noi”.
Prima dell’inizio dello spettacolo ha fatto il suo saluto anche il sindaco di Milano, Beppe Sala, che ha ribadito la sua ricandidatura a primo cittadino mentre il maestro Chailly è tornato a casa per seguire lo show comodamente in tv. Qualche cantante, tra cui Vittorio Grigolo, Francesco Meli ed Eleonora Buratto hanno invece preferito seguire l’evento direttamente alla Scala, così come il sovrintendente Dominique Meyer, che ha fatto lo stesso dal suo ufficio. “L’opera è una cosa bella e fragile, soprattutto in questo periodo” ha spiegato Meyer. E così, si può dire, è stato anche stasera.
Fragilità e bellezza si sono alternate senza sosta sul palcoscenico. Ad aprire le danze il ‘Rigoletto’ interpretato da Salsi e Grigolo , quindi Ludovic Tézier, che ha intonato il ‘Don Carlo’ con lo sfondo di un vagone ferroviario con del filo spinato. A strappare applausi il ‘Regnava nel silenzio’ tratto da ‘Lucia di Lammermoor’ e interpretato da Lisette Oropesa. Cupa la scenografia, tra neve e nebbia e sprazzi d’Italia con le immagini di Castel Sant’Angelo (a fare da sfondo a un magistrale Roberto Alagna che ha dato voce al Cavaradossi di ‘Tosca’ con ‘E lucevan le stelle’), Cinecittà e omaggi a Fellini, Risi e Chaplin. Da brividi anche il ‘Nessun Dorma’ eseguito da Piotr Beczala, dopo il forfait all’ultimo di Jonas Kaufmann. A convincere anche la ‘Carmen’ interpretata da Marianne Oropessa e il finale ‘Tutto cangia, il ciel s’abbella’, dal Guglielmo Tell di Rossini, una sorta di inno a un futuro più roseo.
La sensazione che hanno provato un po’ tutti, stasera, sul divano o in sala che fosse, l’ha riassunta bene il tenore Vittorio Grigolo: “Il pubblico è la cosa più importante per gli artisti e non averlo ci ha fatto sentire un po’ violati psicologicamente”. Una nota di colore sono stati gli straordinari vestiti indossati dalle cantanti e delle attrici in scena, firmati da vari stilisti del Made in Italy: da Giorgio Armani a Valentino, passando per Lella Curiel e Dolce&Gabbana mentre il balletto di Roberto Bolle sulle note di Erik Satie ha strappato parecchi consensi.
Non ha contenuto la soddisfazione Meyer: “Volevamo dare un segnale positivo, con tante voci, tutte in grande forma – ha spiegato a fine spettacolo -. Anche l’orchestra ha suonato meravigliosamente, hanno fatto un grande lavoro in modo molto concentrato, è stato bello vederli lavorare, danno forza ed energia. Dietro c’è stato un lavoro pazzesco è stato fatto tutto in sei giorni, è stato meraviglioso”. Verve un po’ polemica, invece, da parte del regista Livermore, che ha definito la Prima di stasera “un atto di militanza”, sottolineando che è dalla cultura che occorre ripartire perché “è la prima azienda del Paese”.
E se lo show può essere promosso a pieni voti, occorre ricordare quello che tutti, dal sovrintendente ai cantanti, passando per la stampa e il direttore d’orchestra hanno voluto ribadire stasera: è giusto che lo spettacolo vada avanti. Lo spettacolo deve andare avanti. Ma per farlo ha bisogno necessariamente e irrimediabilmente del suo pubblico.