di Ilaria Floris
“Guardando i social, vedendo la televisione, vedendo come si va trasformando la comunicazione tra le persone mi sembra che si stia scivolando verso un gorgo di esasperazione, semplificazione, che si abbia paura dell’opinione dell’altro, della bellezza del dialogo, e tutto questo mi ha fatto pensare che fosse giusto usare lo strumento principe contro l’odio che sono le parole”. Così Walter Veltroni descrive all’Adnkronos il suo ultimo libro ‘Odiare l’odio’ (edito da Rizzoli), con il quale l’ex politico, regista e scrittore è finalista al Premio Letterario Caccuri 2020.
“Parole che tendano a favorire il desiderio dell’incontro con l’altro da sé, che poi è la vera meraviglia della vita”, spiega Veltroni, che nel suo libro affronta il tema dell’odio sempre più imperante nella nostra società. Un viaggio nell’universo dell’odio che parte “da un passato a cui dobbiamo impedire di tornare (il ventennio fascista, gli anni di piombo) per approdare ad un difficile presente segnato da una decrescita tutt’altro che felice”. “L’odio non è un virus, è una malattia sociale -spiega Veltroni- Nasce quando la società diventa più ingiusta, quando le persone sono incerte sul proprio futuro, quando prevale la paura sulla fiducia e sulla speranza e in un momento di trasformazione e dei codici di conoscenza e di comunicazione in una dimensione come quella che stiamo vivendo che è inimmaginabile”.
“Basta pensare -dice l’autore del volume- che la velocità di elaborazione dei pc è cresciuta dal 1960 di mille miliardi di volte, mentre la velocità di una macchina si è raddoppiata. Siamo di fronte ad una cosa di dimensioni gigantesche. La somma di questi due elementi, la crisi sociale e il mutamento di tutti gli elementi di conoscenza e di comunicazione, può determinare una recrudescenza dell’odio, perché i social sono costruiti in modo tale da definire dei recinti di appartenenza che si considerano nemici gli uni degli altri, che è il contrario delle ragioni per cui la rete era nata”.
Sui social, è l’analisi di Veltroni, “c’è una parte che attiene alla libertà di espressione che è un fatto positivo, e un’altra parte dove c’è la messa in circolo di contrapposizioni e radicalizzazioni che fanno parte di questo tempo in cui tutto è semplificato, un pollice su e un pollice giù, invece la vita è un po’ più complessa”. Il rimedio? “Il dialogo, l’attenzione nei confronti dell’altro, il viaggio. Invece qui siamo tornati all’olio bollente sugli avversari”, argomenta l’ex sindaco di Roma.
Che spiega: “Ho dedicato un capitolo del libro, quasi per gioco, ad una frase che non sento più citare, ‘anche questo è vero’. Non mi capita mai di sentire, quando due persone discutono, qualcuno che abbia l’umiltà, e vorrei dire anche la forza, di dire delle opinioni dell’altro ‘anche questo è vero’. Come se ci fosse questa specie di costante arroganza nella quale tutti sono portatori di verità assolute e indiscutibili e dove le opinioni degli altri sono un ostacolo, un inciampo, un fastidio”. Un’arroganza usata spesso anche dagli esponenti politici. “C’è un’utilizzazione della paura, un’industria della paura e dell’odio che serve per la politica”, asserisce.
Sul traguardo di essere arrivato tra i finalisti del IX Premio Caccuri, uno dei più importanti concorsi di saggistica in Italia, in programma dal 19 al 24 settembre e che vede, tra gli altri finalisti Bianca Berlinguer, Alan Friedman e Renzo Piano insieme a figlio Carlo, Veltroni esprime soddisfazione: “Intanto, c’è l’apprezzamento di essere stati selezionati da una giuria presieduta da una persona che stimo come Giordano Bruno Guerri, e uno degli storici a cui presto più attenzione -dice lo scrittore- E poi l’importanza che si svolga in un piccolo comune di una regione come la Calabria, nella quale io credo che iniziative di questo tipo abbiano più valore e spessore che in una grande città”. (di Ilaria Floris)