di Paolo Martini
“Il telefono sonò che era appena appena arrinisciuto a pigliari sonno, o almeno accussì gli parse, doppo ore e ore passate ad arramazzarisi ammatula dintra al letto. ‘Riccardino sono’, disse una voce squillante e festevole, per dargli appuntamento al bar Aurora. Ma Montalbano non conosceva nessuno con quel nome… Un’ora dopo, la telefonata di Catarella: avevano sparato a un uomo, Fazio lo stava cercando”. E’ l’incipit di “Riccardino”, il capitolo finale della saga che ha per protagonista il commissario Salvo Montalbano, che la casa editrice Sellerio pubblica oggi a un anno esatto dalla morte di Andrea Camilleri, nella ‘storica’ collana “La memoria”, ideata da Elvira Sellerio con Leonardo Sciascia. Ed è il romanzo del congedo dalla scena del delitto del poliziotto di Vigàta, in cui a scegliere di mettere la parola “fine”, con un colpo finale a sorpresa, sarà lo stesso Montalbano prima ancora che il suo creatore. “Riccardino” esce anche in una edizione speciale, con una nota di Salvatore Silvano Nigro, in cui si potranno leggere due versioni del romanzo, la prima e quella definitiva, come da desiderio dell’autore. “I lettori potranno così seguire l’evoluzione nel corso del tempo di quella lingua unica inventata da Andrea Camilleri. Una sperimentazione alla quale lo scrittore teneva moltissimo e che viene resa così evidente dal confronto tra le due versioni”, spiega l’editore.
Ma questo, in realtà, non è l’ultimo romanzo con Montalbano scritto da Camilleri, che infatti negli anni successivi alla sua prima stesura ne consegnerà ai suoi lettori moltissimi altri. “Riccardino”, ideato nel 2004 e finito nel 2005, è stato rivisto dallo scrittore siciliano più di recente, nel 2016 quando è stato rinnovato solo per quanto riguarda la lingua, immutato nella trama. Questa redazione del 2016, quella definitiva, mostra come, nel corso degli anni, l’espressione di Camilleri sia passata (lo sostiene Salvatore Silvano Nigro) dalla “lingua bastarda” che l’autore ascoltava da bambino alla “lingua inventata” di Vigàta, cioè è divenuta nel tempo, come ogni lingua, una forma di vita, la forma di vita di una provincia inventata.
La scelta di pubblicare insieme le due versioni è un desiderio di Camilleri: “Ho sempre distrutto tutte le tracce che portavano ai romanzi compiuti, invece mi pare che possa giovare far vedere materialmente al lettore l’evoluzione della mia scrittura”.
Il libro, come gli altri della serie, è fortemente calato nel tempo in cui è stato scritto, e di quel tempo costituisce un vivido racconto e una critica. Non mancano infatti i riferimenti alla letteratura, alla cronaca, alla politica (e al suo linguaggio) di quei giorni. “Naturalmente, la storia è tutta inventata di sana pianta, nessun personaggio può essere ricondotto a una persona realmente esistente. Lo stesso vale per le situazioni, le intestazioni delle ditte e delle banche, i cognomi. Il contesto invece no, quello purtroppo esiste”, avverte Camilleri. “Riccardino” costituisce quindi il congedo di quello che (grazie anche alla sua versione televisiva di formidabile successo), è con certezza il personaggio più popolare prodotto dalla letteratura italiana a cavallo tra questi millenni, divenuto anche un riferimento etico e civile per la Sicilia e per l’intero paese.
Il lettore si accorgerà quanto combattuto, dialettico, e pieno di ironia fosse il rapporto tra l’Autore e il suo Personaggio, relazione che in “Riccardino” viene sviscerata in tutte le sue manifestazioni: tra personaggio letterario e televisivo e persino tra personaggio e attore, impersonaggio Luca Zingaretti.
Del resto è stato lo stesso Camilleri a ripeterlo pubblicamente in più occasioni: da un lato, sentiva il bisogno di liberarsi di Montalbano ma, dall’altro, Montalbano lo richiamava ogni volta, invogliandolo, quasi costringendolo a scrivere ancora e ancora storie su di lui; per lasciarlo crescere, cambiare, invecchiare, come una creatura vera. Come se il commissario avesse raggiunto una vita autonoma.
Da questo punto di vista, è evidente l’anomalia dell’epilogo di una saga scritto così tanti anni prima della conclusione vera e propria. Camilleri, voleva essere lui a mettere la parola fine. C’è da aggiungere che in quel 2005 Camilleri era al suo ottantesimo compleanno e si sentiva stanco (lo dice esplicitamente nel romanzo). E non è detto, in ultimo, che non pensasse sul serio di “liberarsi” di Montalbano per potersi dedicare ad altro (magari di più ai romanzi storico-civili, almeno secondo l’accusa avanzata dallo stesso Montalbano).
Oggi sappiamo che avvenne il contrario: alla scrittura di “Riccardino” seguirono ben diciotto romanzi e numerosi racconti, e Camilleri terminò l’ultimo Montalbano, “Il metodo Catalanotti”, nel 2018, continuando a scrivere della sua creatura più amata fino alla fine.
Comunque sia, questo originalissimo romanzo che esce ora postumo fu consegnato a Elvira nel 2005, con il titolo provvisorio “Riccardino” (a cui l’autore si sarebbe affezionato in seguito), con il patto che il libro sarebbe uscito solo alla conclusione della serie. Inevitabilmente alla notizia si aggiunsero aneddoti, due in particolare: che l’ultimo romanzo di Montalbano fosse custodito nella cassaforte della casa editrice Sellerio; e che nella trama il commissario Montalbano alla fine morisse.
Del primo aneddoto, sorrise lo stesso Camilleri, dicendo che in casa editrice non c’è nessuna cassaforte, al massimo cassetti aperti. Del secondo saprà il lettore di “Riccardino”, avvisandolo tuttavia di un colpo di scena che desterà stupore, con una sorpresa anche per lo stesso Autore.
Certo “Riccardino” è la fine del commissario Salvo Montalbano di Vigàta. E dentro alla trama gialla corre un altro filo: il duello tra il Personaggio e il suo Autore (tema peraltro ripreso nel recente “Conversazione su Tiresia”), il riconoscimento di un debito verso l’amato Luigi Pirandello. Ma senza alcun intellettualismo, senza che il ragionamento pregiudichi la tensione dell’indagine. È la magia di Camilleri, che trasforma non solo le trame ma anche ogni moto del sentimento e della ragione in un racconto capace di coinvolgere totalmente il lettore.
Con la pubblicazione del romanzo postumo, il suo editore Sellerio onora “uno scrittore, una figura pubblica e una persona straordinari. Una quarantennale avventura di amicizia, di libri, di lavoro, di divertimento, iniziata nei primi anni ’80 quando Camilleri consegnò a Leonardo Sciascia un faldone di documenti su una strage dimenticata avvenuta a Porto Empedocle nel 1848”.
“Il Maestro di Regalpetra – racconta l’editore nella prefazione – studiò le carte, trovò la vicenda molto interessante, ma anziché scrivere una delle sue cronache, propose all’allora regista teatrale e professore all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio d’Amico’ di raccontare lui quella storia, impegnandosi a sostenerne la successiva pubblicazione. Una avventura che ha portato l’autore a un prodigioso successo e segnato il destino di questa casa editrice. Una avventura che lascia un segno forte nella letteratura italiana ed europea, che costituisce un caso forse unico per l’editoria internazionale e che ha avuto alla base la fiducia e la stima reciproche tra Andrea Camilleri ed Elvira Sellerio, a cui nel tempo si è aggiunta una profonda amicizia – lui chiamava lei ‘mia amica del cuore’. Noi non gli saremo mai grati abbastanza per averci permesso di esserne parte”.